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WHAT THE BAT? | la recensione (Meta Quest 2, Steam VR)

Provato su Meta Quest 2

Che belli i giochi che fanno ridere, quelli con un senso dell’umorismo vero, quelli che non fanno solo sogghignare, ma ridere di gusto.

Quando si studia storytelling una delle prime cose che ti insegnano è che la commedia si genera quando un personaggio ha un obiettivo ma è male attrezzato per raggiungerlo. E quale migliore premessa quindi, per un gioco comedy, di una ragazza che deve affrontare la vita con delle mazze da baseball al posto delle mani? Che si tratti di lavarvi i denti al mattino e versare dei cereali nel latte, o lavorare in un fast food o allevare gli animali della fattoria di famiglia, ogni missione di What the Bat? – il nuovo gioco di Triband (creatori di What the Golf?) – diventa esilarante e rocambolesca.

Ma cosa ha da offrire What the Bat? al di là di un ottimo espediente comico?

What the Bat?, nel quale controllate un personaggio che ha delle mazze da baseball al posto delle mani, è tecnicamente un puzzle game, anche se il focus è posto non tanto sul trovare soluzioni creative a enigmi complessi quanto sul divertirsi il più possibile nell’esecuzione di azioni apparentemente semplici. 

Dico “apparentemente” perché sono molti gli elementi che Triband ha inserito per complicarvi la vita, dalle mazze che sono un po’ appiccicose ma non abbastanza da afferrare gli oggetti, al motore fisico che si comporta in modo imprevedibile, al ribaltamento di meccaniche prestabilite. Il tutto contribuisce a rendere What the Bat? un’esperienza sempre sorprendente, che non richiede grande abilità da parte del giocatore, ma che invita piuttosto a godersi l’atmosfera giocosa e spensierata e a concentrarsi più sulle gag comiche che sulle sfide offerte dal gameplay.

La struttura narrativa è semplice ma efficace. Seguiamo il viaggio della protagonista dall’infanzia all’età adulta, navigando la sua routine quotidiana e le sue avventure, che diventano progressivamente sempre più assurde man mano che passano gli anni. Si inizia versando dei cereali in una tazza di latte e presto ci si ritrova a servire caffelatte a dei gattini, a difendere le opere d’arte di un museo da dei gabbiani molesti e ad accendere un falò su un’isola deserta. 

Il racconto serve principalmente da cornice per una serie di gag slapstick, ma verso la fine guadagna una profondità inaspettata, con una conclusione sfacciatamente sentimentale che difficilmente lascerà indifferenti.

Sarò sincero: mi sono innamorato di What the Bat? nell’esatto istante in cui mi sono trovato davanti il mondo di gioco, con i suoi colori, il suo design minimale, pulito e aggressivamente gradevole e i suoi personaggi ultra-stilizzati, animati con una manciata di frame al secondo ma con una vagonata di grazia.

Da un punto di vista estetico il gioco è curato fin nei minimi dettagli ed è realizzato con gusto e consapevolezza, a partire già dal menu, con i suoi eleganti diorami che rappresentano i numerosi livelli, fino ad arrivare alla colonna sonora, eclettica ed esuberante.

Non è nulla di straordinariamente originale, e in effetti ricorda – oltre ovviamente al sopracitato What the Golf? degli stessi Triband – quella corrente di giochi indie dai colori pastello come Untitled Goose Game e Donut County. Ma l’impatto estetico è talmente piacevole che l’originalità passa inevitabilmente in secondo piano.

La cosa più impressionante di What the Bat? rimane però la quantità di idee che Triband è riuscita ad accumulare e snocciolare nel corso delle circa tre ore di gioco. La maggior parte delle cento e più missioni presenta almeno un’idea nuova, che sia una meccanica nuova nel gameplay o un nuovo meccanismo comico poco importa. Con le mazze che danno il titolo al gioco vi troverete colpire palline (ovviamente), maneggiare oggetti, manovrare joystick, spingere bottoni, attivare leve, far passare corrente elettrica. A volte si trasformeranno in tavole di legno, o in bastoni da selfie, o canne da pesca. E i puzzle giocano spesso sulle aspettative del giocatore, sovvertendole e manipolandole, cambiando in corsa le regole alla ricerca della punchline più inattesa.

Non tutto funziona alla perfezione. Alcune missioni richiedono una precisione e una velocità di esecuzione che cozzano con i sistemi di gioco, e finiscono col risultare inutilmente frustranti. Altre invece hanno una durata talmente irrisoria che sembrano essere state inserite solo per aumentare il conteggio delle missioni nel materiale promozionale. “Più di cento” in effetti suona meglio che ottantatré o cose del genere.

What the Bat? sembra anche soffrire in un certo senso di disturbo dell’attenzione. Alcune delle “nuove idee” che il gioco presenta a un ritmo forsennato si allontanano un po’ troppo dalla premessa, tanto che il fatto di affrontarle con delle mazze da baseball non fa poi tutta questa differenza. Giocare a una versione Space Invaders con gabbiani e paperelle colpendo i pulsanti con le nostre mazze rientra nelle logiche a cui il gioco ci ha abituati, ma quando la prospettiva cambia e veniamo catapultati all’interno del cabinato ci troviamo semplicemente a sparare con delle pistole laser – non proprio in linea con il resto del gameplay. Si ha l’impressione che nessuna idea sia stata scartata, neanche quelle che esulavano dal concept di partenza.

Non è propriamente un caso di quantità che soverchia la qualità, ma di sicuro il titolo di Triband poteva durare un’oretta in meno e presentare un numero di missioni più contenuto ma più coeso. Anche se la promessa di nuovi capitoli che arriva durante i titoli di coda mi alletta e incuriosisce.

What the Bat? fa ridere, scalda il cuore ed è una gioia per gli occhi. Bombarda il giocatore di idee e meccaniche, alla costante ricerca della prossima punchline. La sua comicità è espressa esclusivamente tramite il gameplay e la messa in scena, senza una sola parola di dialogo. È divertente, accessibile e coinvolgente, anche se un po’ caotico e incoerente. Ed è anche il gioco perfetto da far provare ai neofiti della VR.

 






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Ruggero Melis

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