Giocato su Oculus Rift S
Ogni tanto ci dimentichiamo di quanto le prime esclusive Oculus su PC fossero straordinarie, abituati ormai ad un mercato che sforna tanto, ma con risultati altalenanti. Per far sì che nessuno dimentichi le grandi perle del passato recente, come ben sapete ho iniziato a recensire titoli non propriamente d’ultima uscita, ma di cui c’è ancora bisogno di parlare. Oggi parliamo di un gioco immenso, oggettivamente il primo vero capolavoro che ha sfornato la realtà virtuale; un gioco che è stato in grado di stupirci ed emozionarci come mai era successo prima, e come raramente è successo dopo. Oggi parliamo di quella perla rara che è Lone Echo.
Ready at Dawn è una software house innegabilmente capace ma estremamente sottovalutata. Dopo aver convertito un po’ di titoli per Sony e Nintendo, gli amici californiani danno vita nel 2015 a quella piccola perla che è The Order: 1886, con risultati di critica e di pubblico non propriamente favorevoli. Furbamente Facebook invece ci vede lungo, e decide di metterli sotto alla sua ala nella creazione del primo vero e proprio blockbuster mai sfornato da Oculus. Lone Echo vede la luce due anni dopo la loro esclusiva PS4, e si dimostra un’opera monumentale sotto praticamente tutti i punti di vista. Oggi il franchise di Echo è famoso principalmente per gli spin-off multiplayer Echo Arena ed Echo Combat, ma non dobbiamo dimenticarci che gli stessi vengono da un prodotto molto più importante.
Lone Echo è un’avventura ambientata nello spazio profondo, che si svolge tra circa un centinaio d’anni. Il nostro ruolo è quello di Jack, intelligenza artificiale che si muove al comando di Olivia Rhodes su una navicella alle porte di saturno, intento a supervisionare un’avveniristica stazione di mining. Un improvviso boato svela un’anomalia spazio-temporale che andrà a complicare la vita di Jack e Liv, trascinandoli di forza in un’avventura inquietante e pericolosa, alla scoperta di una civiltà sconosciuta.
Lo script del titolo Ready At Dawn è millimetrico fin dalle prime battute nella costruzione del rapporto tra i due protagonisti, e soprattutto nell’escalation che accompagna il racconto fino ai titoli di coda. Una volta tanto siamo davanti ad un videogioco scritto oggettivamente bene; strutturalmente di ferro, credibile negli scambi di battute, ed arricchito da una sensibilità minimalista squisitamente in linea con il genere di riferimento. Gli sceneggiatori Ru Weerasuriya, David Dunne e Cory Lanham decidono infatti di lavorare per sottrazione, per andare poi ad amplificare i momenti più emotivamente intensi durante i turning point del racconto, dando vita ad una storia che viaggia costantemente tra l’ordinario ed il memorabile. Da segnalare che Lone Echo è disponibile soltanto in inglese, e nonostante risulti comprensibile anche a chi non mastica particolarmente le lingue anglofone, spiace che qualcuno si perda certe sfumature straordinarie di scrittura, che – oggi più che mai – valgono oro.
La messa in scena non è poi sicuramente da meno. Visivamente Lone Echo risulta ancora oggi sontuoso, gigantesco nell’impatto grafico ed elegantissimo nella direzione artistica. È raro trovare nel mercato contemporaneo un prodotto PCVR che lavori così bene con le risorse che abbiamo oggi a disposizione, ed è forse soltanto l’inarrivabile Half Life Alyx che è riuscito a superarlo su tutti i fronti dal punto di vista puramente tecnico. In ogni caso Lone Echo è uno di quei titoli in grado di mostrare al contempo la forza bruta delle macchine da gioco più performanti e l’eleganza di una regia davvero fuori dall’ordinario, che non si permette mai soluzioni scontate, e che si mantiene onesta e solidissima dall’inizio alla fine.
Ma un gioco non è soltanto scrittura e messa in scena, e di fatti il gameplay di Lone Echo – allineato anche su questo fronte al resto – funziona magistralmente. Scordatevi lunghe sparatorie nello spazio od esplosioni e non finire: la storia di Jack e Liv è un dramma minimalista in salsa sci-fi, e di conseguenza l’azione sul campo non andrà nemmeno per un secondo fuori dai canoni del setup narrativo. Nei panni dell’unico droide senziente della stazione, dovremo quindi prevalentemente indagare le cause di questa anomalia, spostandoci su più siti, evitando il sovraccarico di radiazioni. Tra uno spostamento e l’altro dovremo risolvere semplici puzzle e compiere azioni di pura manutenzione, tentando in ogni modo di preservare la vita di Olivia. Se raccontato così potrebbe risultare poco eccitante, vi assicuro che anche soltanto scannerizzare un tablet o collegare dei fili elettrici, è un’operazione che restituisce molta più soddisfazione del previsto. Se posso fare un paragone con un titolo tradizionale, Lone Echo è un po’ come il primo Mass Effect: poca azione, tanta atmosfera, ma immersivo come pochi.
Una longevità che si aggira tra le sei e le otto ore, chiude poi un quadretto invidiabile su tutti i fronti, che non ha nulla da invidiare ai prodotti AAA contemporanei e non; lasciandomi – a maggior ragione – con un dubbio gigantesco. Com’è possibile che Lone Echo non sia riuscito a sfondare nel mercato? Com’è possibile che un prodotto del genere non abbia costretto milioni e milioni di videogiocatori ad acquistare un Oculus Rift in massa, bruciando in piazza le proprie console tradizionali?
Una delle risposte sta probabilmente nel sistema di locomozione utilizzato. Se ad oggi in VR ci sono ben poche soluzioni più immersive dello spostamento a gravità zero, è anche vero che chi non è abituato e si approccia per la prima volta alla VR con un prodotto del genere, potrebbe rimanere scottato. Per muoverci dovremo infatti afferrare con le nostre mani qualunque superfice e spingerci fisicamente verso il nostro obiettivo, attraverso un’inerzia che potrebbe infastidire gli stomaci più delicati. C’è da dire che ho giocato per la prima volta Lone Echo pochi giorni dopo l’arrivo del mio fiammante Oculus Rift CV1, e nonostante un primo momento di fatica, sono riuscito a completarlo serenamente, senza avvertire nessun fastidio. Chiaramente il motion sickness è una problematica varia e complessa, che viene percepita in modo del tutto singolare da persona a persona, ma è vero che Lone Echo non è il gioco migliore con cui affrontarla.
Chiaramente c’è poi la problematica legata sia alla nuova IP, sia ad una community che non è stata troppo clemente con lo stesso studio di sviluppo in passato. C’è poi il fattore novità, che è sicuramente quello più importante ed incomprensibile, che spinge i giocatori a chiedere a gran voce sempre la stessa cosa all’infinito, fino a quando non si rendono conto che stanno solo perdendo tempo, e smettono di giocare. La realtà virtuale non è una cosa per tutti, è una cosa adatta soltanto a chi ha voglia di sperimentare, a chi non si nasconde dietro ad un conservatorismo effettivo o presunto, a chi non ha paura del progresso del medium. Lone Echo è un prodotto che urla forte l’esistenza della realtà virtuale, e lo fa con una grazia fuori dall’ordinario, risultando in fine un prodotto monumentale, che tra qualche anno studieremo sui libri di storia del videogioco.
Lone Echo è un’esperienza maestosa e totalizzante, sicuramente il primo grande capolavoro mai sfornata dalla realtà virtuale, che ci ricorderemo da qui a molti, moltissimi anni. Ready at Dawn ha osato sulla scrittura, sulla messa in scena e sul gameplay, restituendoci un titolo che ogni amante della VR ha il dovere morale di giocare e rigiocare. Non vediamo l’ora di vedere come continuerà la storia con il già annunciato Lone Echo 2, di cui si sono sfortunatamente perse le tracce negli ultimi mesi, ma che probabilmente ci farà – ancora una volta – innamorare di tutto quello che può darci la realtà virtuale.
Lone Echo è disponibile dal 20 Luglio 2017 su Oculus Store al prezzo di 39,99€, compatibile con Oculus Rift.
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