A partire dal primo visore per realtà virtuale e la sua prima esperienza, Shadowtime tenta di farci fare un excursus della storia del mondo e dei suoi abitanti lanciando una provocazione: è possibile vivere in contemporanea in due mondi allo stesso tempo?
Attraverso la VR sì, ma – forse – anche rendendosi conto che noi siamo qui, a prenderci cura di noi stessi, e intanto il mondo sta morendo. E noi, se vogliamo, in qualche modo, siamo il mondo.
È un po’ un pippone intellettuale che gira a vuoto, l’ultima opera firmata da Sister Sylvester e Deniz Tortum, eppure risulta comunque decisamente interessante nella sua esposizione.
Si parte seduti, mentre muoviamo in hand tracking gli angoli di un cubo. Poi compare una donna, riprodotta in modo straordinario in fotogrammetria, che ci riempie di osservazioni pseudo-filosofiche. E poi ci alziamo, continuiamo a toccare quegli angoli del cubo che, di conseguenza, modificano anche l’ambiente circostante. Il mondo cambia epoche, luoghi, conformazione, e lo fa attraverso transizioni che sembrano (e probabilmente sono) interpretazioni asettiche di un’IA. Infine, attraverso un trucchetto proprio della realtà virtuale, lo spazio intorno a noi si riempie di gente, che prima si muove come noi, e poi ci guarda, in attesa di qualcosa che forse è dietro l’angolo, o che forse non arriverà mai.
Un’esperienza che funziona in quanto a gimmick sensoriale, più che critica – o lettura – del contemporaneo, ma in grado comunque di stupire per le sue originali trovate di messa in scena. Quando non si ha nulla da dire ma lo si vuole dire lo stesso mi indispettisco; un po’ meno se lo si riesce a dire con un certo gusto.
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