Vi dico la verità: non ho idea di come parlarvi di Asgard’s Wrath 2. Ormai è uscito da un paio di settimane e se ne è discusso in lungo e in largo, sia tra il pubblico della VR che nei canali di videogiochi generalisti, ed è arrivato addirittura a un perfect score su quell’IGN a cui in molti guardano come al portale di videogiochi definitivo; quello che ha sempre l’ultima parola. Poi sono arrivate le recensioni dei siti che si occupano di realtà virtuale, e nessuno si è azzardato a regalargli un dieci. Perché, quindi, questa discrepanza importante tra i siti di videogiochi generalisti e la stampa specializzata? Butto subito sul tavolo le mie carte: per me il motivo è dato dal fatto che – semplicemente – Asgard’s Wrath 2 non è un videogioco adatto alla realtà virtuale per come la conosciamo oggi.
Per chi non sapesse di cosa sto parlando, Asgard’s Wrath 2 è il seguito – ovviamente – di Asgard’s Wrath (qui la recensione), un gioco PCVR di tre anni fa che ci aveva fatto sperimentare per la prima volta sui nostri caschetti un titolo dalle ambizioni AAA. Era un videogioco tecnicamente sbalorditivo, con tante meccaniche, e con una quantità di contenuti da far ingelosire qualunque action adventure flat dell’era moderna. Nonostante i suoi innegabili pregi, però, gli diedi poco meno di otto. Il perché è molto semplice: oltre ad avere un combat system non proprio rifinito, il problema del primo gioco Oculus di Sanzaru Games era – paradossalmente – la sua longevità; la sua portata sinceramente eccesiva per un gioco da fruire in realtà virtuale. Non che non mi piacciano i videogiochi lunghi, anzi, se un titolo riesce a prendermi per decine e decine di ore sono solo che contento, ma non voglio sentirmi in ostaggio di ciò a cui sto giocando. Non voglio che un videogioco mi obblighi a passare trenta o quaranta ore a fare sempre la stessa cosa, senza che mi restituisca qualcosa nel mentre, e soltanto in funzione di un contentino che si palesa ogni cinque o sei ore. Asgard’s Wrath era un action RPG con una manciata di sistemi ben ragionati, che però continuava a reiterare all’infinito soltanto per estendere, in modo eccessivamente furbo, la sua longevità. Non è una cosa che succede soltanto in Asgard’s Wrath, attenzione: la maggior parte di prodotti flat tripla A contemporanei puntano a fare la stessa cosa, ed è forse una delle ragioni principali per cui mi ero allontanato dal flat per abbracciare la realtà virtuale qualche anno fa.
Con Asgard’s Wrath 2 Sanzaru Games fa all in, e decide non solo di rimanere sui suoi passi, ma di duplicare la durata già eccessiva del precedente, restituendoci un prodotto che – personalmente – mi ha ucciso completamente tutto l’entusiasmo già dopo la prima ora di gioco. E sapete qual è il bello? È che Asgard’s Wrath 2 non è nemmeno un brutto gioco, anzi. Parliamo di un action RPG open world, con trame e sottotrame ambientate dentro a un antico egitto mitologico, in cui muoversi da un regno all’altro alla ricerca della nostra vendetta contro agli dei. È un po’ come se fosse God of War 3, ma con dieci ore di pausa tra una boss fight e l’altra. O meglio, forse parlare di “pausa” è eccessivo, ma lì in mezzo c’è stata infilata tanta, troppa, esplorazione, troppi puzzle – ben congegnati ma ripetitivi – troppi scontri con minioni tutti uguali che a un certo punto vengono a noia, oltre che infiniti forzieri da aprire manco stessi grindando su un MMORPG. Il combat system è migliorato, anche in modo importante, ma perché devo subirmi cinquanta sezioni di scontro che si svolgono tutte allo stesso modo in funzione di un’unica boss fight spettacolare?
C’è poco da dire rispetto ai momenti più alti di Asgard’s Wrath 2, e basterebbe il primo scontro con un gigantesco falco per ammettere che in realtà virtuale difficilmente abbiamo visto qualcosa di così imponente, adrenalinico e immersivo. Eppure, per arrivare a questi momenti, dobbiamo rimanere in ostaggio di un gioco che fa di tutto per replicare formule vicine al flat che non solo vorrei non venissero mai replicate in VR, ma vorrei addirittura che ce ne sbarazzassimo anche nel contesto del videogioco tradizionale.
Sono arrivato a un terzo di gioco, quando ho capito che di Asgard’s Wrath 2 ne avevo abbastanza, esattamente nel momento in cui viene sbloccato il secondo dei companion disponibili. Una decina d’ore in cui mi sono divertito discretamente, ma sempre con quell’ansia che si prova quando si ha la consapevolezza di non voler arrivare alla fine, e con quell’impressione di star buttando il proprio tempo, soltanto per assistere – a un certo punto – a qualcosa di grande. Vi faccio un esempio: in Death Stranding (qui la recensione) passiamo apparentemente la maggior parte del nostro tempo a fare la stessa cosa, in funzione di una manciata di momenti narrativi dalla forza immaginifica straordinaria. Quella “stessa cosa”, però, ha un valore: un valore ludico, narrativo e cerebrale. Mentre scaliamo una montagna, attraversiamo un ponte o ci nascondiamo da un gruppo di nemici stiamo contribuendo a rendere vivo il mondo di gioco da una parte, e stiamo vivendo in prima persona le sensazioni del protagonista dall’altra; anche quando queste sono spiacevoli, anche quando si fondano sulla fatica, sulla noia o sulla solitudine. In questo modo il discorso di Death Stranding ti arriva, e si impone con una forza straordinaria, nonostante la ripetitività – voluta – del game loop. In Asgard’s Wrath 2 non c’è un discorso: non c’è una vera e propria motivazione per cui dovrei investire il mio tempo, se non quella di un mero ed effimero divertimento passeggero, che si fonda – per l’appunto – su una concezione demodé di videogioco. C’è la narrativa, direte voi; ma c’è sinceramete qualcuno che è riuscito ad affezionarsi ai personaggi e alle storie di Asgard’s Wrath 2? Io credo di no.
Del videogioco di Sanzaru Games, senza averlo finito e senza che probabilmente lo finirò mai, mi sono rimasti i suoi momenti più imponenti, i suoi combattimenti più scenografici, i suoi salti col rampino tra un cumulo di rovine e l’altro, le sue corse liberatorie in groppa a una grossa pantera nera. Momenti sinceramente indimenticabili, annacquati da ore e ore in cui ho paradossalmente spento il cervello per risolvere con il pilota automatico i puzzle, o mentre ascoltavo dialoghi non skippabili poco interessanti, con la palpebra calante. È un gioco che ha momenti momenti altissimi, ma che cerca di catturare costantemente l’attenzione di chi gioca con stimoli su stimoli che finiscono per risultare soltanto di troppo, quando sarebbe bastato comprimere tutto quello che ha da offrire in cinque o sei ore, per dar vita a un gioco straordinario. Certo, la direzione artistica non è qui delle più originali e – nonostante sia impressionante per essere un prodotto esclusivo per Meta Quest – il downgrade grafico rispetto al capitolo precedente è evidente, ma delle cose belle, anzi bellissime, Asgard’s Wrath 2 le ha.
Non metto in dubbio che una certa fetta di pubblico possa divertirsi tanto con Asgard’s Wrath 2, soprattutto quel tipo di pubblico innamorato del prestige game contemporaneo alla Marvel’s Spider-Man 2 (qui la recensione) o alla God of War Ragnarok (qui la recensione), ma il titolo di Sanzaru non è un videogioco per me, e come non lo è per me non lo è sicuramente per molti altri. Questa, chiaramente, non è una recensione, proprio perché non avendo finito il prodotto non me la sono sentita di dare un’opinione semi-oggettiva e ragionata sul titolo, e difficilmente un pezzo più completo sul gioco arriverà mai. È invece una sorta di suggestione in testo su cui invito tutti quanti a ragionare: la realtà virtuale ha bisogno di giochi come Asgard’s Wrath 2? E se pensate che ne abbia bisogno, è davvero un gioco che fa per voi? Sono sinceramente curioso: chi, oltre all’articolista di IGN che ha deciso di premiarlo con un 10, l’ha finito o ha in programma di farlo? Sono tutte informazioni che, una volta raccolte ed esaminate, sicuramente stimoleranno il mio e il vostro ragionamento, in merito al videogioco esclusivo per standalone più discusso dell’anno. Dal canto mio sono abbastanza sicuro: Asgard’s Wrath 2 non è un gioco che fa per me, e non solo credo che non serva all’industria, ma credo che possa essere anche dannoso per l’intero linguaggio. D’altronde se ci siamo affezionati alla realtà virtuale è anche per scappare da certi design-trappola che nascono con l’unica funzione di mangiare il nostro tempo, perché questo tempo vogliamo investirlo in qualcosa che ci permetta di crescere; qualcosa che ci faccia vivere in prima persona esperienze inedite e mai visto, né nel reale, né nel videogioco flat.
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