Voi che urlate “Free Locomotion” non avete capito un cazzo.

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Mediamente i videogiocatori, un po’ come tutte le categorie allargate che popolano il mondo, sono una massa di caproni ignoranti. Sembra esagerato, ma la dimostrazione la troviamo in due macro drammi che rendono il mercato che amiamo a tratti invivibile; drammi che ad ogni novità propositiva di qualche coraggioso, calano incombenti su tutti noi, portandoci anni luce indietro nel tempo.  Questi problemi sono intuibili fondamentalmente dai trend di mercato e dalle battaglie spinte a gran voce da una community insostenibile ed arrogante, e si dividono a loro volta in sottocategorie che in questo articolo andremo ad analizzare.


Silicon Rising, movimento a nodi.

La prima problematica è sotto agli occhi di tutti: i più grandi successi commerciali sono per lo più prodotti copia e incolla realizzati attraverso indagini di mercato; frutto non di autori capaci e volenterosi di dire qualcosa, ma di un insieme di dati atti a soddisfare i gusti – discutibili – della maggior parte dell’utenza. Non che tutti questi prodotti siano robaccia, e anzi molti capolavori degli anni passati sono anche storie di incassi strabilianti, ma difficilmente i grossi franchise tendono all’innovazione, temendo la lapidazione immediata da parte di chi non vuole vedere il proprio gioco del cuore cambiato di una virgola.
Il secondo problema è più sottile, viene spesso trascurato e si tende a non dargli mai l’importanza che merita, ma dimostra ancora di più un ignoranza profonda che – anche qui – ci porta spesso e volentieri a lunghi periodi di stallo. Tralasciando le idiozie sulla console war, fortunatamente quasi superate, abbiamo visto prender piede battaglie ridicole contro l’inserimento delle minoranze nei videogiochi, contro la condivisibile volontà di puntare all’accessibilità e contro alla ripulita da elementi ingiustificatamente omofobi o razzisti all’interno di determinati prodotti. Guai; basta sostituire il personaggio maschile di una saga con una donna o eliminare una battuta di cattivo gusto e subito arrivano i violenti, fascisti, i decelebrati che pensano di combattere contro i temibili SJW in nome della libertà d’espressione.

Fortunatamente nel mondo della realtà virtuale, ancora lontano da certe logiche applicabili soltanto a contesti più ampi, tutto questo non è ancora successo. Vuoi – appunto – perché siamo ancora in pochi, o vuoi perché ci si tende a concentrare su aspetti più tecnici, a discapito dei contenuti.
C’è però un elemento critico che, con sempre più insistenza, si sta facendo strada tra le bocche di chi non ne vuole sapere di farsi guidare da autori e programmatori consapevoli, ed è giunto decisamente il momento di parlarne.


Budget Cuts, teleport.

Quando la realtà virtuale ha fatto il suo arrivo nel mercato commerciale, chiaramente nessuno era abituato al feedback fisico che la stessa restituisce ancora oggi ai nuovi arrivati. Il temuto Motion Sickness era costantemente dietro l’angolo, e questo spinse gli sviluppatori dei primi prodotti VR più raffinati ad optare per un’implementazione del movimento inedito rispetto ai prodotti videoludici tradizionali.
Ci fu chi si affidò subito al Teleport, ovvero alla possibilità di trasportarsi velocemente da punto a punto evitando quel movimento in-game che spesso portava – e porta – ad una nausea insopportabile per molti. Alcuni optarono per il movimento cosiddetto A Nodi, dando la possibilità al giocatore di posizionarsi solo in specifici punti, coadiuvando un limite tecnico ad una vera e propria scelta di game design.
Qualcuno diede vita ad esperienze esclusivamente Roomscale, in cui l’unica possibilità di spostamento era quella di muoversi fisicamente nella propria area di gioco. Mentre i più coraggiosi inventarono soluzioni del tutto personali, rendendo il locomotion parte integrante del gameplay.

Ad un certo punto, quando gran parte dei giocatori VR più navigati iniziarono a non avvertire più Motion Sickness – nemmeno in condizioni di movimento estreme – la community iniziò a chiedere il Free Movement in tutti i prodotti in realtà virtuale. Alcuni temerari iniziarono a produrre videogiochi partendo da questo concetto, dando vita ad esperienze decisamente funzionali e divertenti; mentre altri cercarono di implementare – spesso con scarsi risultati – il movimento libero in titoli pensati fin dal principio per altri sistemi di movimento.

Come spesso accade: porgi la mano e si prendono il braccio. Da quel momento in poi i grossi e navigati paladini della VR non vollero più saperne del teletrasporto, e se un titolo non disponeva del movimento fluido era subito boicottaggio, urla, gridi e pianti. Purtroppo in un mercato come questo, in cui sono spesso gli utenti a decidere il destino di un prodotto, le Software House di tutto il mondo si sono dovute adeguare, col risultato che sono sempre più numerosi i prodotti che presentano una fruizione a movimento libero inferiore a quella via Teleport.

Telefrag, strafe.

Dunque, perché è successa questa cosa?
Perché l’uomo medio si sente per definizione superiore agli altri, sempre. E dunque, Luigi da Treviso che non è andato oltre alla terza media – forte del suo analfabetismo funzionale – sente di avere le stesse capacità e le stesse competenze di un artista, di un programmatore, di un medico.
Senza pensare alle disastrose conseguenze che questo atteggiamento ha avuto negli anni sul fronte politico-sociale, questa disgrazia si riversa, per forza di cose, anche nei videogiochi. Ed ecco che Luigi, dalla sua torre d’avorio mentale, decide anche il destino di tutti noi: fruitori e creatori di videogiochi.

Se a questo punto vi state ancora chiedendo qual è il problema di avere il Free Movement su tutti i videogiochi VR e perché la necessità di difendere metodi di locomozione alternativi, seguitemi attentamente; ci sono tre motivazioni fondamentali.

La prima è il diritto assoluto e superiore a qualsiasi altra cosa degli sviluppatori nel fare quel cazzo che gli pare. Non si tratta di noi, che con le nostre mani unte e chiusi nella nostra topaia, sentenziamo su questo e quell’altro, ma di gente che ci sta regalando un’esperienza che prima non esisteva, e che ora esiste di certo non grazie a noi.
Sì, avete capito bene, non siete voi a realizzare videogiochi. E se la vostra risposta è che per avere i vostri soldi “quegli altri” si devono adeguare al vostro punto di vista, la mia è che nessuno vi costringe a comprare un videogioco al quale non vi sentite affini.
Non vi piace? Non lo capite? Amen, non muore nessuno. Cercatene un altro e smettete, quantomeno, di dare aria alla bocca.

La seconda motivazione è relativa all’accessibilità. Ad oggi, gli utenti Steam che possiedono un visore per realtà virtuale sono circa l’uno per cento. Ragionando per statistica, più o meno la metà di questo 1% si lamenta di questa “problematica”, pari allo 0,5% degli utenti globali su Steam.
Immaginate che il mercato VR, magari grazie ad Half Life: Alyx (qui la video recensione), si apra a molte più persone; gente che con grande entusiasmo si compra un visore in attesa di scoprire nuovi mondi e nuove possibilità di gioco. Apre un titolo a caso, vede la possibilità di giocare con il movimento libero ed, abituato ai videogiochi tradizionali o magari conscio di questa diatriba sul Free Movement, lo attiva. Tempo dieci minuti vomita l’anima, stacca il visore e lo rimanda ad Amazon, rimanendo troppo scottato da un’esperienza che – nove su dieci – si rifiuterà di fare ancora.
Non dimenticatevi che all’arrivo della VR moltissime persone si allontanarono da questa tecnologia proprio perché provarono esperienze non adatte, che fecero diventare la realtà virtuale sinonimo di Motion Sickness.

La terza – ed è probabilmente la più importante, nonostante in molti non ci pensino nemmeno – è che gran parte delle volte il teleport fa parte di una ponderata scelta di game design.

Wilson’s Heart, teleport a nodi.

Prendiamo ad esempio uno dei primi grandi titoli Oculus: Wilson’s Heart (qui la recensione). Spero siate d’accordo con me che stiamo parlando di un gran titolo, meraviglioso specialmente nella sua atmosfera e nella scansione della progressione. Questa progressione è frutto di un lavoro meticoloso sul ritmo di gioco, ed è studiata nel più minimo dettaglio per azzerare i tempi morti in favore di un Pacing che costringe il giocatore a fruire dell’opera in un certo modo. Avendo in Wilson’s Heart dei punti ben specifici in cui agire attraverso il Teleport a Nodi, saremo quindi portati ad osservare con maggior cura gli elementi facente parte di quella specifica porzione della mappa. Questo vuol dire che invece che girare come cretini per decine e decine di minuti alla ricerca di un modo per proseguire, andremo avanti in modo più immediato e comprensibile, assecondando il ritmo di gioco che gli autori hanno voluto cucire sul prodotto.
Fortunatamente Twisted Pixel Games non ha fatto il grave errore di cedere, e Wilson’s Heart si può giocare soltanto come è stato concepito. Grazie, Twisted Pixel Games.
Discorso diverso, ad esempio, per Doom VFR (qui la recensione). L’ottimo FPS di ID Software era stato pensato per un tipo di movimento basato su un Teleport che rallentava il tempo e che rendeva estremamente strategici gli scontri, proponendo un gameplay decisamente nuovo ed adatto alla VR. Sia mai: urla, pianti e sputi. Pochi mesi dopo arriva l’aggiornamento per il movimento libero. Il gameplay risulta così decisamente sbilanciato, gli scontri più veloci e meno divertenti, ma la community applaude, toccandosi di nascosto davanti al PC perché – sempre dall’alto della propria torre – è riuscita a far cambiare idea a Bethesda & Co. E sti cazzi che il gioco funzioni peggio, l’importante è che tutti ne usufruiscano come volevano fruirne loro. Non gli sviluppatori: loro.

Volete altri esempi di questo tipo? Ce ne sono moltissimi, ma il più recente e famoso è sicuramente Half Life: Alyx. Giocare all’ultimo capolavoro di Valve pensando che il Free Movement sia stato il metodo di fruizione pensato fin dall’inizio dimostra, quantomeno, dei gravi disturbi mentali.
Il level design dell’opera in questione è in fatti zeppo di sezioni in cui è necessario trasportarsi da un punto ad un altro della mappa per superare ostacoli insormontabili attraverso il movimento libero, dando l’impressione che il suddetto sia stato aggiunto solo in corso d’opera. La conferma l’abbiamo avuta durante quello che doveva essere il lancio del reveal trailer, rimandato all’ultimo perché voci sempre più insistenti davano l’assenza del Free Movement per certa, seguite dalle solite grida, pianti e sputi.
Questo ha portato Valve ad inserire di forza il movimento libero in un prodotto che regala il suo massimo attraverso il movimento denominato “Shift”, ovvero un Teleport classico con animazione interna; adatto sia ai neofiti che ai pionieri della VR.

Fortunatamente in Valve non sono completamente sciroccati, e sono riusciti a far funzionare dignitosamente la soluzione in gran parte del gioco, ma alcune sbavature in tal proposito sono evidenti, e la colpa rimane del solito branco di neonati impazziti.


The Climb, roomscale.

Infine, se ci pensate bene ed al contrario di quanto dicono i più scemotti, il movimento libero va un po’ contro il concetto stesso di VR. Quante volte vi è successo, in un titolo giocato in movimento libero, di fare anche il più breve dei passi attraverso il thumbstick del controller? Scommetto un milione di volte, perché quando si ha la possibilità di muoversi attraverso il joypad è difficile dimenticarsi della suddetta possibilità ed agire fisicamente per – ad esempio – raccogliere un oggetto a mezzo metro da noi. Quanto è più immersivo, invece, avere un sistema a nodi calibrato perfettamente sulla nostra area di gioco, zeppo di coperture dietro alle quali muoversi ed avendo il controllo di almeno quella specifica scena? È il caso ad esempio di Arktika.1 o di Silicon Rising (qui la video recensione), che ci danno la possibilità reale di usare tutto il corpo per eseguire le azioni, evitandoci quel tristissimo, statico e noioso movimento del pollice.

Con questo sto dicendo che Il Teleport è sempre meglio del Free Locomotion? Assolutamente no. Ci sono centinaia di prodotti meravigliosi che sfruttano il movimento libero in modo intelligente, e che ci riescono a restituire un feeling realistico e coinvolgente in tutte le situazioni proposte. Sapete perché? Perché sono stati pensati fin dal principio per esser fruiti così, e non sono dovuti scendere a patti con una manica di stronzi presuntuosi che gli ha imposto come realizzare il proprio videogioco.

Bene, allora che tutti realizzino i videogiochi VR in Free Locomotion fin dal principio, direte voi furbacchioni. No, perché le tre regole sopracitate valgono anche se alcune produzioni a movimento libero funzionano bene, e non devono impedire agli sviluppatori di sperimentare con sistemi di movimento che vanno oltre al banale pattinaggio sul ghiaccio che amate tanto.


Vacation Simulator, teleport a nodi.

Ve lo dico sinceramente, sono incazzato nero. E non perché penso di aver ragione, ma perché è tutto così scontato che trovo ridicolo il solo fatto di dover giustificare le mie parole o le scelte di game designers che nemmeno conosco. Cercate, vi prego, di andare oltre al vostro gusto personale, cercate di comprendere quello che vi circonda senza sbraitare, siate curiosi di come – chi ha sicuramente più competenze di voi – vuole proporvi la propria visione di un’opera, e non fermatevi soltanto ad una prima e superficiale impressione. Ve lo chiedo in ginocchio. Non fatelo per me, non fatelo manco per gli sviluppatori; fatelo per un futuro in cui la realtà virtuale sarà florida e ricca di contenuti, un futuro in cui nessun giocatore si dovrà sentire escluso per problemi di accessibilità e nessun autore limitato da stupidi pregiudizi. Posate l’ascia di guerra, questa è una battaglia che non può portare nulla di buono, se non ad un appiattimento spropositato di un linguaggio che rischia di morire ancor prima di dimostrare tutte le sue potenzialità. Sì, anche per colpa vostra.

 




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