Giocato su PC
Ci sono molti romanzi e molti film che mi hanno letteralmente cambiato la vita, o che perlomeno hanno arricchito profondamente la mia visione del mondo. Quando invece si tratta di videogiochi, ce ne sono moltissimi che ho amato, molti che ho disprezzato, ed alcuni che si sono susseguiti innocuamente durante il mio percorso. Tuttavia sono stati pochi quelli che, al pari degli altri due linguaggi, mi hanno influenzato a tal punto da spingermi a rivalutare il mio punto di vista, che si trattasse di contenuti importanti, o di semplice estetica. Tra questi, sembra oramai banale dirlo, ma c’è sicuramente tutta l’opera di Hideo Kojima. Essendo cresciuto con la quinta generazione di console, Metal Gear Solid è stato uno dei primi giochi ad aprirmi gli occhi sulle potenzialità effettive del mezzo, che iniziava ad avvicinarsi pericolosamente al cinema, ma iniziava anche ad andare in una direzione molto più popolare, nel senso più positivo del termine. Metal Gear Solid mi insegnò inconsapevolmente che era possibile lavorare sulla messa in scena, sul ritmo e sul tono esattamente come si poteva fare al cinema, con oltretutto la possibilità di contribuire attivamente allo sviluppo di un racconto. I capitoli 3D della saga furono per me titoli importantissimi, non solo per quello che riuscirono a darmi col tempo, ma anche perché – come tutte le grandi opere che accompagnano il percorso di un individuo – riesco ad associare i singoli capitoli a momenti molto specifici della mia vita. L’epopea di Kojima mi ha praticamente accompagnato dall’infanzia all’età adulta, e non nego che rimane tutt’ora uno dei miei più grandi punti di riferimento per quanto concerne l’immaginario legato alla narrativa contemporanea. Qualcuno direbbe che sono un fan-boy, ma vi assicuro che non è così; sono semplicemente carico d’ammirazione verso un autore coraggioso, che è riuscito ad imporre la sua visione del medium videogioco in un’epoca in cui iniziava ad esser difficile stampare il proprio timbro creativo su un prodotto.
Dopo l’incursione sci-fi di Zone of the Enders e dopo un quinto capitolo straordinario ma dolorosamente incompleto, Kojima ha quindi finalmente deciso di esplorare altri lidi, proponendo un’opera monumentale che ha diviso critica e pubblico, ma alla quale non si può negare una coerenza ed un’impostazione autorale molto lontana da quello che ci offre mediamente il mercato.
Per me Death Stranding, giocato al lancio su Playstation 4, fu una folgorazione; l’ennesima in casa Kojima, tanto che non mi tiro indietro nella sua definizione di capolavoro, al pari di quell’altra piccola manciata che compone i titoli imperdibili di questa generazione. Ho dunque sempre pensato che un’opera del genere non potesse sparire con la morte della console a cui era legata, ed ho quindi accolto con grande entusiasmo il suo arrivo sui nostri amati personal computer; arrivo che avrebbe potuto ampliare ancora di più il bacino d’utenza, facendo scoprire anche ad un tipo di giocatori più avvezzi ad esperienze fuori dagli schemi, il fascino del titolo. Death Stranding è quindi finalmente disponibile anche su PC, e vi assicuro che questo è un passo importante non solo per quanto riguarda tutto il discorso legato alle esclusive, ma è importante anche e prevalentemente per un mercato PC che stenta a regalarci il valore produttivo proprio di molte produzioni first party.
Probabilmente molti di voi conosceranno già bene l’ultima opera di Kojima, o addirittura l’avranno già giocata, e vorranno quindi semplicemente sapere come se la cava il Decima Engine su computer. Tuttavia ci sarà anche chi il gioco non l’ha mai approfondito, o vuole conoscere l’ennesima opinione in merito; chiunque voi siate, non preoccupatevi, perché questa recensione sarà divisa in due parti. Nella prima metà andrò a parlare del gioco nudo e crudo, come fosse arrivato oggi in esclusiva PC; nella seconda andremo ad analizzare semplicemente il porting in tutti i suoi aspetti, dalle opzioni grafiche tanto agognate dai PC master race, al supporto per mouse e tastiera. Partiamo dunque dall’analisi del gioco, e vediamo insieme cos’è quel discusso ed importante pezzo di storia del videogioco che porta il nome di Death Stranding.
“Un tempo ci fu un’esplosione. Uno scoppio che diede origine al tempo e allo spazio. E poi arrivò un’altra esplosione.” Si apre così Death Stranding, dopo uno schermo nero con voce fuori campo, che esplode poi in una serie di immagini naturalistiche mozzafiato, accompagnate da un pezzo meraviglioso dei Low Roar. Un’apertura sintetica, quasi minimale rispetto a quello a cui siamo abituati; ma in grado di instaurare immediatamente un tono ed una visione incredibilmente unici, che solo un’opera che mantiene al cento per cento il DNA del suo autore è in grado di restituire. Durante le prime due ore in compagnia di Death Stranding il gameplay mantiene un ruolo timidamente marginale, lasciando spazio all’estro registico di Kojima nel raccontarci attraverso un buon numero di scene d’intermezzo i protagonisti ed i comprimari. Inutile ribadire ancora come il cast del titolo sia zeppo di attori di grande calibro, ed a sua volta anche di grandi artisti contemporanei; ma per chi non lo sapesse Sam è interpretato dal tenebroso Norman Reedus, il co-protagonista Clifford dal mai troppo amato Mads Mikkelsen, e le compagne d’avventura Fragile e Mama dalle straordinarie Léa Seydoux e Margaret Qualley. Tra i personaggi secondari troviamo poi gente del calibro di Gulliermo del Toro e Nicolas Winding Refn, accompagnati dal solito Troy Baker, e da Lindsay Wagner, Tommie Earl Jenkins e molti altri. Se nel videogioco contemporaneo viene affidato tutto nelle mani dei soliti doppiatori, per poi sbalordire con qualche improbabile special guest, Kojima decide invece di costruire un team di attori camaleontici di prim’ordine, sottolineando dei valori produttivi sopra la media ed una cura sconfinata nel dettaglio. La partecipazione di grandi registi contemporanei sottolinea poi come la stima nei confronti del designer giapponese arrivi davvero da ogni dove, e che l’influenza di Kojima si spinge addirittura verso linguaggi totalmente opposti. Di fatto l’introduzione di Death Stranding non è altro che un film dall’immaginario criptico ed unico, con qualche breve incursione in un gameplay, che andrà a farsi vero protagonista soltanto poco dopo.
Quando infatti il mondo di gioco intorno a noi inizia ad aprirsi, capiamo subito come l’approccio di Kojima al videogioco sia finalmente arrivato alla sua completa maturazione. Non so se vi ricordate di quando vi parlai di The Last of Us 2, ma Death Stranding calza proprio a pennello con quell’esatto, identico, discorso. Se nella maggior parte dei videogiochi si tende a limitare gli elementi del racconto alle cutscenes, e quindi non ci si avvantaggia del gameplay per comunicare qualcosa al di là dello schermo, in Death Stranding il fulcro del discorso si muove invece esclusivamente attraverso le meccaniche di gioco.
L’opera di Kojima non è altro che un bizzarro simulatore di consegne, all’interno di un immaginario post-apocalittico che ci viene svelato con dei tempi rari alla narrativa videoludica. L’obiettivo di Sam, dipendente di punta della Bridges, si adatta fin dall’incipit da semplici mansioni da fattorino vagabondo, alla ricostruzione degli Stati Uniti d’America. Quest’operazione all’apparenza stereotipata, che si concretizza semplicemente collegando ad una rete collettiva tutti i punti nevralgici degli USA, non è altro che un’allegoria stratificata della necessità – oggi più che mai – di costruire una collettività. Sam non promette a chi incontra una vita migliore, ma attraverso il ricongiungimento con gli altri assicura inconsapevolmente un miglioramento delle nostre vite. Ed anzi non solo; assicura anche che – attraverso il ribaltamento del paradigma individualista legato al percorso dell’eroe – ci si riprenda i propri spazi nel nome di un gruppo. In un mercato composto prevalentemente da racconti banali, retrogradi e fallocentrici, lo spirito di Death Stranding risulta una ventata d’aria fresca, in grado di ribadire ancora una volta come il mezzo – se usato con cognizione di causa – sia, di fatto, estremamente più potente di altri.
Ai comandi di Sam, dovremo quindi spostarci di base in base attraversando spazi aperti sconfinati, montagne dall’aspetto insormontabile e fiumi pericolosi, portando a termine una consegna dopo l’altra che andranno, piano piano, a solidificare i rapporti tra i superstiti. Per svolgere l’infausto compito, Sam sarà dotato di una speciale tuta proprietaria che gli permetterà di trasportare carichi altrimenti irremovibili, grazie ad una serie di agganci su tutto il corpo. Parte del fascino dell’opera, sta proprio nella gestione certosina del carico, che potrà esser modulato in tutti i suoi aspetti, dandoci la possibilità di agire sui singoli pacchi e sulla disposizione degli stessi su schiena ed arti. Chiaramente, per non ergersi ad ostacolo verso i non avvezzi ai simulatori, esiste anche la possibilità di riorganizzare automaticamente il carico in base alle nostre esigenze, tralasciando in minima parte la meccanica sopracitata. Tuttavia non pensiate che in questo modo le consegne diventino particolarmente semplici. Una volta sistemati a puntino i nostri pacchi, dovremo vedercela con una morfologia ostile, un clima spesso poco amichevole, ed una serie di losche creature che popolano il nuovo mondo.
Per far sì di non perdere il nostro carico o di non perire sotto una pioggia che velocizza l’invecchiamento, dovremo quindi prima di tutto buttar giù il nostro percorso ideale. Attraverso una mappa estremamente immediata e funzionale, andremo quindi a tirare linee su linee, immaginando quale possa essere il percorso migliore da seguire, calcolando quante scale, quante funi e quanti ricambi portarci dietro. Questi ultimi elementi rimangono centrali per tutta l’avventura, poiché ci aiuteranno a superare quel monte troppo ripido o quel fiume troppo profondo, preservando un’incolumità difficile da mantenere nella natura rigida e vendicativa del mondo di gioco.
Se la struttura delle mappe e le condizioni atmosferiche possono esser superate agilmente attraverso gli utensili, lo stesso non si può dire dei sopracitati BT. Queste inquietanti creature, che si manifestano sotto forma di ombre durante le piogge più impellenti, tenderanno a sbarrarvi la strada in più di un’occasione, costringendovi a rallentare il passo per superare le aree più ostili. Qui dovremo proseguire in silenzio, tappandoci la bocca quando la prossimità con le ombre si farà eccessiva, ed aiutandoci nel percorso attraverso il nostro fidato BB; ovvero un neonato collegato neurologicamente a Sam, che si fa ponte tra vivi e morti. Inutile spiegarvi cosa questo voglia dire, non capireste. In ogni caso, se non riusciremo a passare inosservati attraverso queste aree, dovremo vedercela con balene cosparse di pece, che potremo sconfiggere soltanto attraverso l’utilizzo di bombe riempite del nostro sangue. Ripeto, anche se fossi più specifico, non capireste comunque.
I combattimenti In Death Stranding rimangono comunque sporadici ma eclatanti, e si muovono attraverso meccaniche semplici ma dannatamente soddisfacenti e spettacolari. Per la maggior parte del gioco i nostri nemici principali saranno impersonificati dai BT e da gigantesche creature marine, ma è da metà gioco che il combattimento acquisisce una personalità più preponderante. Di fatto, in Death Stranding non impugneremo una vera e propria arma da fuoco se non intorno alla trentesima ora di gioco, elemento che ha scatenato ovviamente le furie di chi utilizza il videogioco come mero pretesto per dar sfogo alle proprie fantasie sterminatorie. In ogni caso, anche quando entreremo in possesso di pistole, mitragliatrici e via dicendo, il gameplay continuerà a non cambiare di una virgola. Da quel momento, anzi, il titolo si focalizzerà prevalentemente su bossfight più originali ed estrose, affiancate comunque dai soliti viaggi faticosi e stremanti, che risulteranno però sempre più soddisfacenti, proprio grazie alle nuove incursioni.
BT e mostri abnormi non rappresentano comunque l’unica minaccia terrena negli Stati non-Uniti di Death Stranding. Fin dalle prime battute di gioco faremo anche la conoscenza dei Muli, ovvero fattorini con intenzioni suicide che cercheranno di intercettare i vostri pacchi per rubarveli e mettervi infine fuori gioco. Le fasi che presentano questi ultimi al centro della scena, andranno affrontate con la pazienza propria dello stealth, e se ci capiterà malauguratamente di porre fine alla vita di uno di questi ultimi, ci ritroveremo davanti ad una brutta sorpresa, che tuttavia preferisco non svelarvi. L’elemento stealth non risulta comunque profondo quanto quello di MGSV, e si limiterà a farvi assimilare una manciata di operazioni semplici e facilmente replicabili fino alla fine dell’avventura.
L’elemento però forse più importante del pacchetto, è l’integrazione con gli altri giocatori online. In Death Stranding non incontreremo mai nessuno all’infuori degli NPC scritti dal suo autore, ma il passaggio degli altri giocatori nel mondo di gioco si farà invece sempre più insistente con il passare delle ore. Quando creiamo una scala, un ponte od un’autostrada, qualche fortunato utente dall’altra parte del mondo inizierà ad integrare nella sua mappa le nostre creazioni. Questo vuol dire, di conseguenza, che non sarà raro trovare strade ancora non battute, già spianate per un passaggio in agilità, rafforzando il discorso principe secondo cui non è la singola persona, ma l’insieme delle stesse a lasciare un’impronta nel mondo.
Il multiplayer asincrono sviluppato da Kojima, è così ben integrato con le meccaniche e con la narrativa che sarà quasi commovente ricalcare le orme di altri, o aiutare dei completi sconosciuti ad attraversare determinati passaggi. Il tutto, anche perché le merci di scambio non sono meramente materiali, ma si concretizza in dei semplici likes; gesti d’affetto che riacquisiscono un valore oramai effimero, e che vengono caricati da tutta la consapevolezza acquisita sul mondo circostante e le personalità che lo popolano.
Come avrete notato, ho tralasciato volutamente una descrizione esaustiva del comparto narrativo. Questo perché, oltre ad essere così stratificata che meriterebbe un’analisi a parte, la penna di Kojima questa volta si supera, con una sorpresa dietro l’altra che sarebbe un peccato mortale svelarvi. Dal punto di vista della scrittura siamo di fronte all’opera probabilmente più matura, coerente e coinvolgente del grande autore giapponese; quella che affonda maggiormente le unghie nei grossi temi contemporanei, proponendo un affresco vivo e pulsante di suggestioni difficili da non paragonare ai nostri tempi.
Se bisogna trovare un difetto nella scrittura di Kojima, è facile – però – puntare il dito verso i dialoghi. Le parole che escono dalla bocca dei personaggi di Death Stranding sono spesso didascaliche, a volte stereotipate, sporadicamente molto ingenue, e soprattutto inspiegabili se paragonate a tutto il resto. Sono convinto che, da occidentale, sia estremamente più difficile comprendere un certo tipo di comunicazione propria della narrativa d’oriente, che si rifà sicuramente a paradigmi a noi ignoti e – di conseguenza – incomprensibili. Tuttavia, fermo restando che ci sono sicuramente sfumature della lingua giapponese impossibili da adattare, è anche vero che quell’immaginario d’influenza occidentale, stona un po’ con dei dialoghi macchiettistici, che da queste parti associamo alla narrativa più bassa ed infantile.
Per quanto è grande e straordinario tutto il resto, rimane comunque una problematica decisamente minore.
Fortunatamente i momenti più emotivi ed eterei hanno come protagonista soltanto Sam ed il mondo di gioco. Anzi, non solo, perché un’altra grande protagonista di Death Stranding è la sua colonna sonora non originale. Kojima ha letteralmente murato la sua creatura con brani meravigliosi di Low Roar, Silent Poet, Cvrches e molti altri, che partiranno a sorpresa durante le vostre traversate, riempiendovi generalmente il cuore di emozioni e gli occhi di lacrime. L’elemento più straordinario di tutto questo, è che probabilmente il vostro momento più alto in compagnia di Death Stranding sarà un momento che solo voi avrete vissuto, e nessun’altro. Avendo a disposizione approcci infiniti sia al completamento delle missioni che all’esplorazione del mondo di gioco, quei momenti che culminano con uno dei brani concessi a Death Stranding rimarranno per sempre personali ed autentici, imperfetti perché non scriptati, ma proprio per questo indimenticabili.
A proposito di elementi indimenticabili, l’aspetto visivo di Death Stranding è senza dubbio uno dei gradini più alti mai toccati dal medium, e qui ci riallacciamo anche al discorso sul porting. Come ormai tutti sanno il Decima Engine, sviluppato da Guerrilla Games, è un’infrastruttura veramente straordinaria. Consci soprattutto dell’hardware esiguo di Playstation 4 e Playstation 4 PRO, i risultati raggiunti prima con Horizon: Zero Dawn ed infine con Death Stranding, dimostrano una stabilità ed un’ottimizzazione che ad oggi non ha sinceramente eguali. Con l’arrivo dell’opera di Kojima su PC non arriva quindi soltanto il prodotto in sé, ma anche un primo assaggio di quello che è in grado di fare il Decima su macchine più performanti della console a cui era costretto.
Poteva succedere di tutto, ma il Decima Engine si dimostra anche su PC un mostro di potenza, ottimizzazione e scalabilità. Sulla mia configurazione, composta da i9 9900KF, 1080ti e 32Gb di Ram DDR4, con il titolo istallato su SSD, Death Stranding riesce a girare serenamente a 4K nativi, con tutto ad alto, e mantenendo i sessanta FPS. Sporadici alcuni cali di framerate nelle zone più ricche, ma nulla che rovini un’esperienza pensata chiaramente per non girare con tutto al massimo su GPU della generazione scorsa. Chiaramente impostando invece il gioco in full HD o in 2K e reimpostando il tutto ad ultra, il titolo mantiene i sessanta inchiodati senza alcun calo di qualsiasi tipo. Ovviamente è anche possibile sbloccare i refresh rate spingendo il tutto a 120 o 144 FPS, ma forse, per un titolo dall’impronta cinematografica come questo, meglio rimanere sul sessantino.
Estremamente interessante, ed a quanto pare dal risultato sbalorditivo, il DLSS, acronimo di Deep Learning Super Sampling, che riesce ad upscalare un’immagine in 2k a 4k senza pesare sull’hardware, un po’ come fa già PS4 PRO. A quanto pare il risultato è stupefacente, ma è purtroppo possibile attivarlo soltanto sulle GTX della serie 20, ragion per cui non sono riuscito personalmente a metterci mano. Sulle altre serie è comunque possibile attivare il FideltyFX Cas, ovvero una sorta di DLSS meno performante, con cui ho tuttavia ottenuto risultati piuttosto solidi, anche sulla mia 1080ti.
Moltissime comunque le opzioni di personalizzazione, dai preset grafici standard al lavoro di fino su ombre, occlusione ambientale, riflessi, anti-aliasing e molto altro. Interessante anche la possibilità di riservare della memoria per lo streaming direttamente dal menu delle opzioni, che permette così ai content creator di trovare il giusto equilibrio tra l’immagine che il gioco restituisce e le performance durante le live.
Straordinariamente veloci anche i caricamenti, con una manciata scarsa di secondi necessari ad avviare il gioco, e praticamente nessuna attesa tra le cutscene ed il gameplay. Anche quest’ultimo elemento sottolinea ancora una volta come il lavoro di ottimizzazione del Decima su PC sia stato davvero certosino, tanto che viene difficile pensare ad altri porting da console che sono riusciti ad adattarsi e comportarsi così bene durante questa e le scorse generazioni.
Un’altra feature imperdibile per molti utenti PC è il supporto agli schemi ultrawide, che permettono quindi di coprire interamente la loro risoluzione, senza rinunciare al taglio registico millimetrico della messa in scena.
Unico neo, se così vogliamo definirlo, Death Stranding non ne vuole sapere nemmeno di partire se non avete una scheda grafica supportata che si aggiri dalle parti della 1050ti. Tutte le generazioni passate (escluse le ultime della serie 9), sono state infatti totalmente escluse dal supporto, e non sarà possibile nemmeno provare a giocare con le opzioni grafiche qualora abbiate montata una 780ti, o prodotti analoghi. A due passi dal lancio della serie 30 non è poi un grosso problema, ma qualora il vostro hardware non sia particolarmente recente, quest’informazione potrebbe salvarvi la vita.
Aspettiamo comunque con grande ansia di vedere come si comporteranno altre produzioni Decima su PC, e vi ricordo che il prossimo ad arrivare sarà proprio quell’Horizon Zero Dawn da cui tutto è iniziato; in uscita questo agosto.
Ottimo anche il supporto a mouse e tastiera, che ripropone anche qui un gameplay estremamente reattivo e soprattuto customizzabile, grazie alla possibilità di cambiare lo schema comandi in base alle nostre esigenze. Come sempre, è possibile anche giocare attraverso il pad Xbox, Xbox One ed addirittura Playstation 4; con un binding automatico dei tasti e dei prompt non appena collegherete la periferica.
Ultima chicca proprietaria di questo porting è poi la possibilità di indossare capi e personalizzazioni relativi all’unverso di Half Life. Da Headcrab usati come cappelli, all’immancabile occhiale di Gordon Freeman, fino ad arrivare ad areografie arancioni per i mezzi, Death Stranding su PC omaggia quel grande capolavoro esclusivo dell’hardware di riferimento, che ha visto quest’anno il suo primo, grande, capitolo in VR.
Death Stranding rimane un capolavoro immortale; uno dei punti più alti toccati dal videogioco in questa generazione, a braccetto con Red Dead Redemption 2, The Last Guardian, Half Life: Alyx e The Last of Us 2. Se mi chiedete cosa deve fare il videogioco oggi vi posso rispondere soltanto elencandovi questi cinque, grandi, capolavori; che – ognuno a modo suo – riescono a sottolineare, rinnovare od ampliare, la limitata visione di videogioco che molti utenti mantengono ancora oggi. L’opera di Kojima è letteralmente immensa sotto tutti i punti di vista, e quel paio di piccoli difetti che si porta dietro non riescono comunque a scalfire la scorza di un titano, che sta soltanto aspettando d’essere apprezzato e rivalutato da tutti col tempo. Sono sicuro che ad un certo punto nella storia dell’umanità Death Stranding si studierà nelle scuole, e quel giorno vuol dire che avremo finalmente compreso cosa dev’essere un videogioco.
Death Stranding è disponibile dall’8 Novembre 2019 su Playstation 4 e dal 14 Luglio 2020 su PC al prezzo di 59,99€.
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