Giocato su PC
Diablo è un franchise che ha accompagnato da sempre la mia vita. Da bambino rimasi stregato dall’immaginario del primo capitolo, ma – avendo cinque anni – non riuscii a capirci granché. Il secondo capitolo arrivò che ne avevo quasi undici, e ricordo ancora le giornate passate a casa di mio zio a giocarci e a cercare di capirlo, e le centinaia di ore, un paio d’anni dopo, passate a grindare senza pietà nel buio della mia cameretta. All’arrivo del terzo avevo invece ventun anni, il gioco non era bello quanto sperassi, ma mannaggia quante ore ci passai; forse più degli altri due capitoli messi insieme. Era uscito alle porte dell’estate, e ricordo che portai il mio fisso a casa di un amico, i cui genitori erano partiti per un intero mese di vacanze, e ci facemmo questa full immersion di trenta giorni in cui giocavamo, andavamo a dormire, facevamo un salto al McDonalds per mangiare un toast, e tornavamo a casa a giocare. La mia fidanzata dell’epoca non ne era particolarmente contenta, ma forse è stata l’estate più bella della mia vita. È arrivato poco dopo i miei primi trent’anni, Diablo IV, e la mia vita – oggi – è tutta un’altra cosa. Ho degli impegni, tante – forse troppe – cose da fare, e ho un po’ perso l’ossessione per il videogioco totalizzante, quello che quando ti prende non ti lascia più andare per mesi. Eppure, dopo una manciata di settimane in compagnia del nuovo titolo firmato Blizzard, sono riuscito a provare nuovamente quelle sensazioni: la voglia di tornare a casa per giocare, le ore che passano senza accorgersene, la bellezza di un immaginario che mi ha formato, un viaggio verso la fine del mondo.
Spero mi perdoniate questo lungo prologo che apre alla recensione di Diablo IV, ma volevo condividere con voi l’importanza che ha avuto per me il franchise, anche solo per contestualizzare al meglio le parole che verranno. Vi dico anche un’altra cosa: l’anno scorso, all’uscita della remastered di Diablo II, non ho ritrovato le stesse sensazioni che vi ho appena descritto. Forse perché oggi siamo abituati ad altro, perché il ritmo e la progressione del secondo capitolo erano letteralmente perfette vent’anni fa, ma oggi soffrono un po’ il passaggio del tempo. Avevo paura che – di conseguenza – Diablo IV mi annoiasse, rovinando anche in parte il bel ricordo che avevo di tutto un franchise. E invece no, e mi preme particolarmente specificarlo: Diablo IV è il videogioco che mi ha catturato con più insistenza negli ultimi dodici mesi, perché capace di riproporre una formula consolidata, arricchendola e portandola nella modernità, risultando infine un prodotto immortale, che spero continui a battere la strada appena intrapresa.
Il racconto, se non fosse per l’intricato intreccio di storie che partono dal primo Diablo e si sviluppano in seguiti, spin-off e addirittura romanzi, sarebbe anche semplice. La serie firmata Blizzard ha sempre parlato di scontri ed equilibrio, di pace e di violenza, tenendo sempre in primo piano una serie di personaggi che vengono riproposti nel tempo. Qui troviamo Lilith, progenie di Mephisto, che viene risvegliata da un lungo sonno e che cercherà in ogni modo di riconquistare un potere che le è stato negato. Il nostro compito, insieme a ciò che è rimasto degli Horadrim, è quello – ovviamente – di fermarla, cercando di evitare una guerra troppo grande, sia per gli umani, che per angeli e demoni. Se raccontata così la narrativa di Diablo IV potrebbe suggerire la necessità di recuperare i capitoli precedenti, in realtà il titolo di Blizzard si racconta esaustivamente bene anche da solo, soprattutto grazie a una messa in scena realmente eccezionale. Il ritmo – soprattutto durante il primo atto – non è sempre centrato, e i dialoghi cadono a volte nel tranello del semplicismo di stampo fantasy, ma il “come” supera sempre il “cosa”, e, nonostante qualche inciampo, le modalità attraverso le quali la storia di Diablo IV viene narrata sono eccellenti. A partire da un’apertura brillante, fino ad arrivare a un finale quasi sconvolgente, Diablo IV riesce – forse per la prima volta – ad agganciare chi gioca anche grazie alla sua narrativa e alla sua storia, e non solo grazie ad un immaginario unico.
Da questo punto di vista è stato comunque fatto un lavoro encomiabile. Salutati finalmente i colori accesi e l’estetica più cartoon del precedente capitolo, Diablo IV torna a quell’estetica marcia e opprimente che aveva contraddistinto i primi due titoli del franchise, esplorando un mondo che ci risulta allo stesso tempo familiare e inedito, ma soprattutto mai vasto come lo è oggi. Prende infatti un’inaspettata strada open world, Diablo IV, che sostituisce alla sua storica divisione in capitoli ed aree una mappa spaventosamente ampia, dentro alla quale si svolge tutto il racconto. Sanctuary è meravigliosa, varia, ricca di sfumature, biomi e segreti; forse la mappa più esplicitamente eccessiva mai proposta dentro a un capitolo di Diablo, e la bella notizia è che il passaggio non si è perso dentro a un’open world fantoccio.
Di fatto, Diablo IV è sostanzialmente un semi-MMO, in cui si muovono decine di giocatori attivi dentro a una singola istanza, che si trovano a sorpresa dentro alle città, vicino agli eventi e – in generale – vagando attraverso un’open map gigantesca. Dentro ai dungeon, invece, così come durante i momenti narrativi, sarà necessario ricorrere al buon vecchio sistema di party che abbiamo imparato a interiorizzare proprio grazie a Diablo. Sarà possibile unirsi in partita con gli avventurieri trovati per le strade di Sanctuary, o con i propri amici, partendo dalla propria lista contatti di Battle.net, anche in cross platform. Ma ciò che stupisce più di tutto, a tal proposito, è il bilanciamento degli scontri in cooperativa.
Partiamo da una premessa: Diablo IV sfrutta un sistema di scaling del mondo di gioco, che va a coincidere sempre con il livello del nostro personaggio. Questo vuol dire che in questo caso la progressione – più veloce e animata, come vuole la contemporaneità del genere – la si può trovare semplicemente attraverso lo skill tree e l’equipaggiamento. Rispetto alle abilità che ci propongono i cinque personaggi a oggi disponibili, Diablo IV offre una quantità di combinazioni letteralmente senza senso. L’albero delle skill è così fitto e dettagliato che sarà quasi impossibile scegliere anche solo in quali rami specializzarsi, figuriamoci arrivare alle sei skill definitive da utilizzare in battaglia. Fortunatamente è possibile fare un respec dei punti abilità in qualsiasi momento, attraverso un modestissimo pagamento della valuta in game, che va a riassegnare i vostri progressi alle abilità che volete sperimentare. È un sistema immediato ma eccezionale, perché permette a tutti di trovare nel tempo, attraverso la prova sul campo, la build migliore per il proprio stile di gioco. L’equipaggiamento aiuta poi a spingere al massimo le possibilità della nostra build, lavorando su numeri, proprietà dei singoli pezzi, enchantment e pietre. È tutto così raffinato e dettagliato che è addirittura possibile sostituire l’aspetto di una scarpa, un’arma o un busto per farlo coincidere con un altro di cui invidiamo l’estetica, ma che non ci convince a livello di numeri. Se lo scaling non mi aveva convinto in un primo momento – avendo giocato la campagna prevalentemente in single player – ho trovato invece paradossalmente più stimolante lavorare sulla build nell’endgame, e questo è un traguardo da non sottovalutare. Vuol dire che Diablo IV ha tanto da dare anche, e soprattutto, dopo l’arrivo dei titoli di coda, che lasciano oltretutto presagire un continuo della sua narrativa principale, probabilmente attreverso le prossime stagioni.
Lo scaling è poi particolarmente importante per ciò che ho accennato prima: il multiplayer. Essendo Diablo IV un prodotto always online, che non vi permette di giocare senza una connessione, era fondamentale bilanciare gli scontri dentro a un party che può – per sua stessa natura – ospitare giocatori di ogni livello. Ecco quindi che un giocatore a livello cinquanta può serenamente giocare insieme a una giocatrice di livello dieci, affrontando sempre battaglie bilanciate, che si adattano al DPS dei singoli utenti. È quasi un miracolo e funziona a meraviglia, tanto che finalmente è possibile giocare in autonomia la campagna in solitaria, per poi unire le forze con quel vostro amico che è andato troppo avanti, o che è ancora troppo indietro, per godersi un po’ di secondarie, qualche dungeon e una manciata di eventi. È anche possibile entrare nella partita di chi è più indietro, e seguire la campagna del vostro partner attraverso una difficoltà perfettamente bilanciata con la vostra. Una cosa che, sinceramente, non avevo mai visto eseguita così bene.
Rispetto al bilanciamento, poi, sono stati fatti qui dei passi da gigante. Certo, le singole classi, soprattutto a causa dello skill tree ambnorme che presentano, non saranno mai bilanciate perfettamente. Ci sarà sempre una classe più forte, un meta più devastante, una combinazione di item più adatta di un’altra; ma fa tutto parte del gioco, e se non ci si sta attenti si rischia davvero di divertirsi senza porsi nemmeno il problema. D’altro canto, giocando in single player il gioco propone una sfida sempre all’altezza, sempre in linea con ciò che ci si aspetta in un gioco in cui l’obiettivo è distruggere la signora delle tenebre e i suoi eserciti. È vero che i problemi di bilanciamento si amplificano dentro alle aree destinate al PVP, ma non è niente che non si possa risolvere attraverso uno studio personale e approfondito della propria build, che è possibile raffinare anche rispetto agli scontri con altri giocatori.
Al di là di una campagna eccellente, appassionante e divertente come poche, sono però le secondarie che perdono un po’ il grip di un’esperienza altrimenti perfetta. Le fetch quest di Diablo IV sono per lo più tutte uguali, poco interessanti sul fronte narrativo e indirizzate sempre al semplice recupero di un’oggetto o l’uccisione di un mostro. Non che la storia principale ci porti a esplorare game design inediti per il franchise, ma quantomeno la narrativa che la accompagna ci spinge a voler vedere sempre di più. Qui succede raramente, come in quella missione in cui dobbiamo trovare il marito scomparso di un’ignara contadina, e lo ritroviamo appeso a un albero, senza la pelle, che chiede di nutrirsi di altra violenza. È un momento altissimo, sia per ritmo che per contesto narrativo, che tuttavia non trova sfogo in molti altri micro-racconti, relegati evidentemente agli autori junior dello studio, o – ancora peggio – a qualche programmatore. È un peccato perché il combat system, soddisfacente e carnale sia attraverso mouse e tastiera che attraverso un pad, ci fa infine perdonare un po’ tutto ciò che gli gravita attorno, continuando a ingaggiarci livello dopo livello, trovando del tedio – forse – soltanto a endgame inoltrato.
D’altronde quello che dovrete fare sarà sempre la stessa cosa: dirigiti nella zona, uccidi tutti, riscatta la ricompensa, migliora la build. È un game loop vecchio come il cucco, eppure capace ancora oggi di dar soddisfazione a chi riesce a farsi prendere da un meccanismo ripetitivo, ma capace di far passare le ore come minuti.
Grande lavoro anche sul fronte artistico: impressionante nella sua direzione, e nel come viene veicolato attraverso una tecnica a dir poco eccellente. Il mondo di Diablo IV e i personaggi che lo popolano sono estremamente convincenti, dettagliati, ricchi addirittura nelle loro animazioni. A memoria non mi viene in mente un prodotto dall’impostazione isometrica così curato su questo fronte, che sfoggia poi un impatto ancora più importante nelle cutscene: questa volta presentate addirittura in engine. È stato svolto un gran lavoro anche nell’ottimizzazione. Sul mio i9 10850k, RTX 4090 e 64Gb di ram il gioco vola in 4K, con tutto a ultra a circa 180 fotogrammi al secondo; ma non solo, anche su Steam Deck, su cui con molta fatica sono riuscito a installare Battle.Net, il gioco si difende più che bene, girando a una qualità dignitosa a quaranta fotogrammi al secondo, con una certa stabilità. L’abbiamo poi provato sia con una RTX 4070, che addirittura con una GTX 1070, potendo giocare serenamente con tutto al massimo in full HD in entrambi i casi.
Avendo giocato un po’ anche a Diablo Immortal, il discusso free to play mobile della saga, posso definirmi contento anche degli acquisti in game. Certo, la giocata di vendere a prezzo maggiorato un’edizione che dava la possibilità di iniziare con quattro giorni d’anticipo l’avventura non è stata la più raffinata delle trovate, ma quantomeno lo shop – attraverso cui è possibile comprare equipaggiamento e skin con soldi veri – non è così predatorio. Almeno, per ora. Su Immortal durante una singola partita la quantità di pop-up e suggerimenti in merito è scandalosa, e figlia di un sistema economico legato a una tipologia di videogioco che voglio veder sparire nei prossimi anni; su Diablo IV invece lo shop è quasi nascosto, dentro a un sotto menù della schermata principale. Ci sarà comunque chi comprerà a più non posso tutto ciò che offrono le stagioni, ma quantomeno – a oggi – Blizzard non insiste più di tanto.
Ed è proprio la qualità delle stagioni, in ogni caso, che decreterà la qualità definitiva di Diablo IV. Ogni capitolo recente del franchise è durato più di un decennio, mutando nel tempo, migliorandosi o peggiorandosi a seconda della direzione scelta dalla casa di sviluppo. È un processo lento e costante, che non sappiamo dove ci porterà in futuro ma che risulterà ancora più importante qui, dentro a questa sorta di game as service che spero ci faccia arrivare al Diablo definitivo, portandoci a dimenticare il mercato di Diablo 3, e le sfumature Pay to Win di Immortal. Non lo so cosa sarà Diablo IV tra cinque anni, ma quello che so è che oggi è il videogioco che voglio giocare, e che avrei voluto giocare al posto del terzo capitolo, ormai molti anni fa.
Diablo IV è il perfetto bilanciamento tra quello che ricordavo fosse Diablo II e le abidutini ormai interiorizzate del gaming contemporaneo. È un gioco immenso, totalizzante, capace di rubarci decine e centinaia di ore senza farcene accorgere, proprio in virtù di un game loop arcaico, eppure sempre efficace. È un titolo che credo giocherò per molto tempo, sia su PC che su Steam Deck, condividento con i miei amici avventure, personaggi ed eventi che credevo perduti, sia nel franchise, che nella mia vita. È un titolo che tutti gli amanti di Diablo non potranno che amare, e che speriamo migliori nel tempo, attraverso delle stagioni che non puntino semplicemente a raccogliere più soldi dalla sua base installata. Il primo capitolo rappresenta la mia infanzia, il secondo la mia adolescenza, il terzo l’inizio della mia età adulta, mentre quest’ultimo si muove dentro a quella ormai inoltrata. Una cosa mi era già chiara e continuerà ad esserlo: Diablo ha sempre fatto parte della mia vita, e continuerà a farne parte, da qui, fino alla fine del mondo.
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