Duck Season: la recensione

Introduzione

Iniziare a parlare di un gioco in realtà virtuale dove si sparano ondate di qualsivoglia oggetto animato o inanimato è un buon modo per mandare in vacca il livello di interesse: ne abbiamo giocato una infinità, più probabilmente di quanto avremo voluto o dovuto. Anche l’ispirazione a Duck Hunt (Nintendo NES, 1984) è poco originale, mi vengono in mente Legendary Hunter VR e Duckpocalypse tra gli altri che fanno più o meno la stessa identica cosa.

Il gioco

La premessa pessimistica ma sincera ha un esito insperato: Duck Season è un titolo di gran stile. Definiamo però quale sia l’obiettivo, perché lo sparare alle anatre sarà più un pretesto che il gioco vero e proprio. C’è una finalità narrativa ed un nutrito quantitativo di succosi extra, il tutto ambientato nella tipica famiglia (americana) anni 80 che i lettori più attempati avranno vissuto in prima persona, o rivissuto nella cinematografia recente con il bel Stranger Things ad esempio. Dall’arredamento alle trasmissioni televisive, dai giocattoli all’abbigliamento, tutto ricostruisce con fedeltà ed ironia lo stile di quegli anni. Le vicende avranno come fulcro la vostra pseudoconsole Kingbit Entertainment System ed il protagonista alle prese con il suo gioco preferito: ma chi sta giocando con cosa diverrà molto più sfumato, e non fatemi dire altro.

Gli Stress Level Zero, che già abbiamo conosciuto ed apprezzato in Hover Junkers, hanno messo in Duck Season un livello di cura incredibile. Non parlo solo di buone texture e di frame rate solidissimo, parlo di tocchi di classe in ogni dove. Ho provato ad avvicinare la testa al TV a tubo catodico, oggetto desueto a cui sono ancora legatissimo, rendendomi conto del lavoro che hanno fatto per rendere credibile la resa dei fosfori. Avendo molto spazio calpestatile, mi sono allontanato a piedi in roomscale trovando un sacco di begli oggetti da afferrare anche dove si suppone il giocatore non possa andare. Questo non è solo budget, è classe, e di classe in realtà virtuale se ne vede molto poca.

Il giocare all’equivalente di Duck Hunt nella vostra vita parallela è ugualmente una bella esperienza, ma surreale. Il titolo vuole che voi vi accorgiate che quella non è la realtà, ma un mondo fittizio fatto a matrioska, un gioco nel gioco. E’ pieno di paradossi infatti, di cui citerò solo il primo perché immediatamente visibile: guardate bene le foto ed i filmati, il cielo è finto, così come sono finti i cespugli. Giocherete in una specie di sipario fatto a stagno al tramonto, con anatre che volano fino ai bordi del “ponte ologrammi” e rimbalzano come se fossero giunte alle estremità dello schermo.

Comfort e implementazione

Non vi è movimento di nessun tipo che possa impensierire sul fronte del comfort, e come già citato il motore gira liscio come l’olio. Vi parlerò invece della soluzione adottata da Stress Level Zero per la gestione del fucile, usato a due mani ma con un paradigma differente da tutti gli altri. Innanzitutto la mano non sarà sempre e comunque in corrispondenza del controller, ma ci sarà una tolleranza, una sorta di magnete che entro un certo campo attirerà la mano sull’impugnatura ma senza permettere posizioni irrealistiche. Anche sulla mano del grilletto, l’inclinazione del controller è completamente diversa dal solito, ed in effetti risulta stavolta perfettamente allineata con la sagoma del calcio. Dopo un paio di minuti per ambientarmi, devo dire che questa soluzione è fantastica, e spero funga da ispirazione per i titoli a venire. Aspettiamo anche di vedere il lavoro fatto sul fucile da cecchino, che verrà introdotto in Hover Junkers nell’espansione single player attesa a stretto giro.

Conclusioni

Se riterrete che Duck Season sia un gioco dove si sparano tante anatre, ed il resto sia solo un riempitivo, il gioco vi durerà poco. Se invece concorderete con me nel considerare gli elementi invertiti, dove è la narrazione e la ricerca dei segreti il vero fine, la stima va pesantemente rivista in quanto è pieno di contenuti, solo di finali alternativi ce ne sono sette. Corto o lungo che sia è una produzione elegante e fatta col cuore, che specialmente quelli nella fascia degli “anta” troveranno irresistibile. Promosso.






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Raffaele Cadeddu

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