Giocato su Oculus Quest 2 in Air Link su PC
C’è una domanda alla quale non mi darò mai risposta: perché in quattro anni di VR nessuno ha ancora ufficializzato un gioco come Tea for God? La particolarità del prodotto nato su sidequest era quella di farci muovere nel nostro spazio fisico, facendoci credere di star percorrendo chilometri, utilizzando una serie di trucchetti quali ascensori e stretti cunicoli, che cambiavano forma a ogni passaggio. Bene, da oggi le risposte che cerco saranno un po’ meno amare, perché Eye of the Temple esordisce nel mercato PCVR con un’avventura che sfrutta esattamente questo tipo di locomotion, e anzi fa anche un passo in più, grazie a un level design tutt’altro che claustrofobico. Vediamo come se la cava nella nostra recensione.
Al di là delle meccaniche che rendono Eye of the Temple un prodotto speciale, un Indiana Jones VR al nostro mercato mancava. Muoversi tra rovine antiche, saltando da una piattaforma all’altra e sfuggendo a trappole vecchie di millenni è stata fino a oggi soltanto una prerogativa dei videogiocatori flat, che grazie ai vari capitoli di Uncharted e Tomb Raider hanno potuto soddisfare la loro personale sete d’avventura. In realtà virtuale, però, in pochissimi si sono avventurati all’interno del genere e, già solo per questo, il titolo di Rune Skovbo Johansen merita una menzione d’onore. Proprio così: in Eye of the Temple interpreteremo una sorta di archeologo, che muovendosi attraverso i resti di un’antica civiltà, andrà a scoprire i terribili segreti nascosti tra quelle rovine.
Niente di entusiasmante sul fronte narrativo, ma è divertente riscoprire anche attraverso i nostri occhi e i nostri movimenti un genere un po’ demodé, anche in realtà virtuale.
Il grande pregio del titolo di Rune Skovbo Johansen non è tuttavia né la narrativa, né il contesto stilistico, bensì il suo peculiare e brillante sistema di movimento. In Eye of the Temple non vi muoverete né con lo stick analogico, né con un pigro teleport, bensì soltanto attraverso le vostre gambe. Se in un primo momento la vastità del level design potrebbe suggerire il contrario, muovendoci per il mondo di gioco scopriamo come le trovate di game design escogitate per non farci schiantare contro le nostre mura domestiche risultano più profonde del previsto, e ci accompagneranno piacevolmente per tutta la durata dell’avventura. Piattaforme fluttuanti, carrelli, e soprattutto pietre rotanti, ci aiuteranno a muoverci per le estese rovine antiche, facendoci percepire un lungo cammino, ma – di fatto – costringendoci a muoverci soltanto nei nostri due metri per due.
Attraverso il nostro quadratone, ad esempio, saliremo su piattaforme rotanti di cui dovremo controbilanciare il movimento, avvicinandoci e allontanandoci così dai limiti della nostra play area, e non rischiando praticamente mai di scontrarci contro gli oggetti fisici presenti nella nostra stanza. Il lavoro fatto da Rune Skovbo Johansen è davvero enorme, e non ci fa assolutamente rimpiangere una dimensione della stanza maggiore, come invece ha fatto recentemente Space Pirate Trainer. Il senso di immersione è alle stelle, tanto che – a oggi – non avevamo ancora visto nulla del genere, ma Eye of the Temple cade in una manciata di trappole che si potevano sinceramente evitare.
La prima è che, nonostante le dimensioni della mappa di gioco, il lavoro su progressione e varietà nel level design non è straordinario. Faremo sempre le stesse cose: accendere fuochi e tirare manopole, con qualche piccola variazione sul tema che non basta a rendere meno monotona l’esperienza. Se non fosse per l’espediente legato al movimento, che dona comunque un gran valore all’intera operazione, Eye of the Temple non sarebbe sicuramente un gioco particolarmente interessante.
Il secondo problema è che visivamente l’opera di Rune Skovbo Johansen è moscia come poche cose viste in VR. Nonostante la ricerca di un realismo irraggiungibile da parte di uno studio indipendente, la direzione artistica è qui impersonale, piatta, poco interessante. Sarebbe stato molto meglio puntare su un cell shading più stylish, o su un minimalismo più netto, poiché – così com’è – muoversi per il mondo di Eye of the Temple è soltanto un po’ triste. Lo sforzo c’è sicuramente stato, e lo si evince dal lavoro sull’illuminazione dinamica e altre finezze prettamente tecniche, ma quello che è mancato è stato chiaramente una visione artistica d’insieme, che avrebbe regalato molte più soddisfazioni ai giocatori.
Anche sul fronte dell’ottimizzazione Eye of the Temple non se la cava bene. Cali di framerate e sporadici freeze di qualche secondo non sono rari, e rovinano un po’ un’esperienza altrimenti molto “polished” nel suo codice sorgente, che mostra il fianco alla sua natura estremamente indipendente. È probabile che nel tempo il gioco venga aggiornato, ma – anche consci dell’impatto visivo – sarebbe stato sicuramente meglio uscire con una versione standalone proprietaria.
A tal proposito, lo studio di sviluppo non ha in programma un porting su Quest, e questo è un gran peccato. È un gran peccato perché, a meno di giocarci in air link con Quest 2, Eye of the Temple vi fa muovere tanto, e rischia di farvi accartocciare sul fastidioso cavo proprio di tutti gli altri headset PCVR presenti sul mercato.
Chiudiamo infine con una buona longevità, che si aggira intorno alle quattro ore per chiudere la storia principale, e circa sei per concludere anche le brevi sezioni secondarie.
Eye of the Temple è un esperimento meraviglioso da una parte, quanto un po’ immaturo dall’altra. La possibilità di sfruttare finalmente il nostro spazio di gioco per muoverci per chilometri e chilometri è meravigliosa, e rende il prodotto di Rune Skovbo Johansen un unicum nel panorama VR, che merita di esser giocato un po’ da tutti. Peccato per un impatto visivo molto blando e un level design un po’ troppo simile a sé stesso, ma – se tanto mi dà tanto – di giochi così inizieremo a vederne parecchi nel prossimo futuro.
Eye of the Temple è disponibile su Steam dal 14 Ottobre 2021.
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