Giocato su PlayStation 5
Voglio aprire questa recensione con un’opinione impopolare, così da togliermi subito il pensiero: Final Fantasy XV è per me il miglior Final Fantasy recente. Nonostante i suoi innegabili difetti, il Final Fantasy di Nomura è stato in grado di sprigionare un’epica che pochi videogiochi contemporanei sono riusciti a trasmettermi; ha reinventato un combat system estremamente classico rendendolo moderno, spettacolare e divertente; ha raccontato una storia di amicizia come pochi, forse nessuno, prima e dopo di lui. È un gioco meraviglioso, che è stato capace di prendersi dei rischi e che è risultato dunque divisivo, ma che ha anche segnato, in un certo senso, un’intera generazione. Ma i videogiocatori, si sa, sono creature bizzarre, che contestano il cambiamento, a meno che questo non gli risulti estremamente riconoscibile. Ecco quindi che entra in gioco Naoki Yoshida, che – forte dell’amore dei fan per il suo Final Fantasy XIV – torna questa volta sul franchise realizzando un capitolo paradossalmente più lontano dai sapori dell’IP, ma anche più coraggioso, e allo stesso tempo po’ più sterile.
Clive Rosfield è il figlio primogenito dell’arciduca di Rosaria, una casata che si vede attaccata e tradita dal suo interno, crollando proprio in concomitanza del risveglio di Joshua: fratello di Clive, erede al trono e dominante di un Eikon del fuoco. Quando la vita di Clive viene scombussolata da alcuni eventi legati alla sua famiglia, il ragazzo intraprende quindi un viaggio verso la vendetta del suo popolo, cercando allo stesso tempo di scongiurare una piaga che sta portando alla scomparsa dell’intero regno e delle sue fazioni: sempre in guerra e pronte a prevalere sul prossimo.
Il racconto di Final Fantasy XVI tenta uno sposalizio tra oriente e occidente che convince soltanto a metà. Tolto un incipit meraviglioso, che fa della spettacolarità e delle promesse sul lungo termine i suoi più grandi cavalli di battaglia, il racconto di Kazutoyo Maehiro tenta di giostrarsi in modo un po’ goffo tra i topoi del franchise, e un inedito setup alla Games of Thrones che punta tanto – forse troppo – sui giochi di potere tra fazioni, e su un’epica da grande guerra che stride eccessivamente con l’immaginario di partenza.
La vera domanda è quindi: perché provare a integrare le dinamiche proprie di George R. R. Martin dentro a un mondo di gioco che funziona, e ha sempre funzionato, attraverso regole personali e ben specifiche? Concettualmente l’idea è anche interessante, ma Yoshida è un tamarro, e si sente chiaramente molto più a suo agio con le dinamiche da shonen, che con quelle da grande romanzo in costume di stampo fantasy. Non a caso, Final Fantasy XVI propone dei momenti interessanti sul fronte narrativo, anche dentro a quelle sezioni in cui si discosta di più dal suo immaginario, ma lo fa a sprazzi, annacquato dentro a una narrativa fondamentalmente confusa e senza cuore, che ci fa perdere interesse in ciò che sta accadendo sullo schermo già dopo poche ore di gioco.
I problemi, su questo fronte, sono svariati: la personalità anonima di un protagonista che non buca mai lo schermo, dei comprimari che non vengono approfonditi quanto si sarebbero meritati, e soprattutto un ritmo tra i più inconsistenti che ho mai visto negli ultimi dieci anni. Il viaggio dell’eroe, così come la narrativa più in generale, si muove sempre attraverso degli spike che dovrebbero mantenere alta l’attenzione di chi sta vivendo il racconto, quasi a intervalli matematici. In questo caso, invece, i punti trama che portano effettivamente avanti la narrativa principale sono posizionati a distanza di ore e ore di racconto, dentro cui vige la “regola del riempitivo” propria di un certo tipo di produzione giapponese. E il problema è che a pagarne il prezzo non ci pensa solo la narrativa in sé, ma anche il gameplay.
Il design di Final Fantasy XVI si allontana dall’idea di open world che ci aveva proposto il quindicesimo capitolo, tornando – in un certo senso – alle origini del “nuovo” modo di guardare a un Final Fantasy. Ecco quindi che il mondo di gioco viene diviso in macro aree a corridoio, e le missioni iniziano e finiscono dentro a zone circoscritte, divise da degli specifici beat narrativi. Niente più mondo aperto, ma semplicemente una serie di regni, città e quartieri che andremo a esplorare attraverso la nostra main mission, strutturati tutti in modo estremamente lineare, e che potremo successivamente ripercorrere in compagnia delle attività secondarie.
Al contrario di Final Fantasy XV, in cui il senso di scoperta dato dal viaggio si dipanava attraverso una traversata letterale da un punto all’altro del regno, Final Fantasy XVI assomiglia invece più a una lunga checklist da completare in modo un po’ freddo, in attesa che ci venga restituito un premio che si identifica qui negli scontri di fine capitolo.
La struttura ludica è quindi sempre quella: prendi la missione dentro all’hub, spostati nella zona indicata, guarda una cutscene, parla con decine di personaggi, affronta uno scontro e torna indietro. Mancano le sorprese, manca il trasporto, e – soprattutto – manca l’elemento ruolistico.
Se in molti altri GDR orientali e occidentali la struttura è di fatto analoga, c’è da dire che quegli stessi giochi che assomigliano su carta a FFXVI propongono però, spesso e volentieri, un lavoro sulla progressione del personaggio che invoglia a progredire, in attesa di un glow up definitivo e ultimo dei nostri protagonisti. Tralasciando il fatto che in FFXVI il protagonista è uno, e manca quindi l’idea più generale di party, l’ultimo titolo di Square Enix va a eliminare totalmente ciò che rende un gioco di ruolo un gioco di ruolo. Il nostro alter ego acquisirà punti esperienza e salirà di livello, ma i punti abilità verranno assegnati in automatico; è possibile craftare o trovare materiale più potente per aumentare DPS e difesa, ma passeremo dal fabbro soltanto alla fine di una missione, per potenziare o costruire ciò che ci ha dato il task precedente; possiamo lavorare autonomamente sulle skill attive che andremo a sbloccare nel corso dell’avventura, ma il loro utilizzo si limiterà a una rotation che assomiglia più a quella di Diablo IV, che a quella di un action-rpg.
Anche il combat system spezza infatti i legami col suo passato, diventando un vero e proprio action game, con elementi più vicini all’MMO che al gioco di ruolo. Per chi parla questo non è un problema, tanto che sono sempre favorevole alle riscritture di un franchise, se ciò che si è detto con i capitoli precedenti è tutto ciò che si aveva da dire in quel contesto specifico. D’altronde, avevo già apprezzato il sistema di combattimento del XV e del 7 Remake, e mi aspettavo un’accelerata importante sul fronte dell’azione, con il capitolo che ha assegnato a Ryota Suzuki il compito di portare Final Fantasy verso Devil May Cry. Il risultato è uno dei combat system più esaltanti in circolazione, basato sì sulla reiterazione costante delle skill al limite della ripetizione, ma anche estremamente soddisfacente, carnale e spettacolare. Davvero, è difficile trovare a oggi un action game che riesca a restituire la soddisfazione di una schivata che riesce a regalare Final Fantasy XVI, la gioia nel contrattaccare con tutte le proprie forze contro un gruppo di soldati nemici, la bellezza dei particellari e degli effetti di luce che riempiono lo schermo dopo un colpo. C’è solo un piccolo problema: il bilanciamento.
Siamo tutti consci del fatto che non solo Final Fantasy, ma l’intera industria del gaming, si stia spostando verso il videogioco accessibile, semplice, che vada a eliminare ogni tipo di frustrazione al giocatore. Il problema è che Final Fantasy XVI esagera, restituendoci un gioco che – potenzialmente – si porta a termine con il pilota automatico. Il sistema dei gioielli, che permettono schivate automatiche e facilitazioni di vario tipo è perfetto per chi si approccia oggi al videogioco, ma non è possibile che anche eliminando qualsiasi anello legato all’automazione delle azioni, Final Fantasy XVI risulti così dannatamente semplice. Su quaranta ore di gioco che ho sul titolo sarò morto, se è tanto, cinque volte, e soltanto perché mi ero dimenticato di acquistare le pozioni, che vi vengono comunque restituite nella loro totalità al respawn dopo la morte. Una scelta strana, sicuramente frutto di ricerche di mercato che puntano ad allargare l’utenza del franchise, ma che – personalmente – mi hanno un po’ allontanato. La soluzione che hanno trovato in quel di Creative Business Unit 3 è però funzionale: rendere alcuni degli scontri più importanti una sorta di endurance, che punta più a stremare il giocatore che a rendergli la vita complicata. Se questa è una filosofia che non apprezzo particolarmente da una parte, dall’altra il risultato è comunque efficiente nel far trasparire la diversificazione degli antagonisti principali e il loro grado di forza distruttiva. Questo ci porta agli scontri con i boss: vero elemento centrale del titolo Square Enix.
Di Final Fantasy XVI si può dire tutto, tranne che le boss fight principali non siano tra le cose più divertenti, esagerate e sfacciatamente barocche che abbiamo mai visto in un videogioco. Durante queste fasi, che si dividono quasi sempre in sezioni nei panni di Clive e momenti nei panni del suo Eikon, Final Fantasy rivela la sua vera natura, quella di cui quasi – a volte – si vergogna, e che avrebbe dovuto abbracciare dall’inizio alla fine: l’anime massimalista. Le battaglie contro agli antagonisti principali sembrano infatti uscire non da Game of Thrones, ma da Dragon Ball, da Naruto, dai film di Godzilla dei tempi d’oro; battaglie violentissime e incasinate, che se la giocano finalmente – per spettacolarità e intensità – con quell’Asura’s Wrath che ci aveva fatto sognare su PlayStation 3 e Xbox 360, e che non aveva più trovato un corrispettivo nel gaming moderno. Un’orgia di colori, effetti e musica che ci fanno dimenticare per qualche istante la noia di una campagna principale che cala il suo ritmo con troppa insistenza, delle missioni secondarie da brutto MMO, e un senso di sfida eccessivamente inconsistente. Sono momenti sinceramente indimenticabili, tra i punti più alti toccato dall’action moderno; non tanto per le loro meccaniche, comunque funzionali, ma per quello che riescono a trasmettere sul puro livello emotivo.
Sono infatti proprio le boss fight che rivelano i difetti più importanti del titolo di Square Enix, perché dimostrano con ancora più insistenza che tutto ciò che viene prima e dopo è un mero riempitivo: a volte divertente e interessante, ma spesso vuoto e irrispettoso nei confronti di chi sta giocando.
È una debolezza che viene chiarita ulteriormente dal comparto tecnico: così altalenante, da risultare quasi fastidioso. Abbandonato il Lumious Engine di Final Fantasy XV, ancora oggi impressionante ma apparentemente difficile da lavorare, la squadra di Yoshida decide di spostarsi su un nuovo engine proprietario, pensato appositamente per il gioco. Mi vien da dire che forse sarebbe stato meglio rimanere sul Luminous, o sull’Unreal Engine utilizzato per FF7 Remake, dato che a livello tecnico Final Fantasy XVI è a dir poco problematico.
È difficile parlare dell’aspetto tecnico di un gioco che a volte tocca picchi ancora inesplorati, restituendoci un impatto visivo clamoroso e quasi avveniristico, e poi cala drasticamente durante molte altre occasioni, sembrando uscire quasi da due generazioni fa. Durante le cutscenes principali Final Fantasy XVI è sbalorditivo, tanto che siamo finalmente arrivati a quel momento storico in cui i filmati simbolo della serie non restituiscono quello stacco con il gameplay che hanno sempre dimostrato visibilmente in passato. È quasi tutto in engine, e la fedeltà di volti, l’illuminazione, gli ambienti e gli effetti raggiungono picchi qualitativi eccezionali, che si riversano anche – il più delle volte – durante il gameplay.
Muovere Clive dentro ad alcune ambientazioni è una gioia per gli occhi, che si fa ancora più insistente durante i combattimenti: velocissimi e ricchi di sfumature visive, come forse non le abbiamo mai viste in un Final Fantasy. Il problema è quando ci si ferma, e si assiste – ad esempio – a quelle cutscene skippabili in cui i personaggi parlano tra di loro immobili e rigidi come marionette, che sembra sinceramente di star giocando a una versione scalata di Lost Odissey. E non è nemmeno questo il problema più importante.
Il dramma ultimo del comparto tecnico di FFXVI è la stabilità del framerate: letteralmente scandalosa. Il gioco offre come sempre la possibilità di scegliere tra due opzioni: fedeltà grafica e framerate. Nel primo caso il gioco gira a trenta fotogrammi instabili in 4K, mentre nel secondo tenta di mantenere i sessanta, scalando la risoluzione addirittura fino ai 720p. Ora, da una console che riesce a far girare Horizon Forbidden West a sessanta fotogrammi granitici in 4K scalati in modo impercettibile accetto tutto, ma non questo. In modalità prestazioni – modalità attraverso la quale ho affrontato tutto il gioco – FFXVI non solo tira giù la risoluzione come non ci fosse un domani, ma presenta dei cali di framerate abbondantemente sotto i trenta fotogrammi al secondo, e non solo durante le cutscene più complicate. Ci sono delle intere ambientazioni – oltretutto legate alla quest principale – in cui il gioco gira a una media di venti fotogrammi al secondo percepiti costanti: una cosa che non ho sinceramente mai visto, né su questa gen né sulla precedente. Perché? Possibile che non siano riusciti a ottimizzare dignitosamente un prodotto che esce in esclusiva su un’unica console? C’è da dire che anche FFXV, al lancio, aveva problemi analoghi – non così gravi, ma simili – ed è stato poi sistemato col tempo. Speriamo che a FFXVI tocchi un po’ la stessa sorte, anche se lanciare un gioco in queste condizioni, per me, è inaccettabile.
Questo non impedisce comunque al titolo di Square Enix di presentarsi bello da morire nella maggior parte delle sue occasioni, a cui contribuisce poi un accompagnamento sonoro clamoroso, sebbene ripetitivo, e un doppiaggio in lingua inglese eccezionale.
Per la prima volta in un Final Fantasy abbiamo in realtà anche il doppiaggio in italiano, ma è così scadente che vi sfido ad arrivare ai titoli di coda senza l’urgenza impellente di cambiarlo. Presente anche il doppiaggio in giapponese, nonostante la versione con il lip sync – e quindi, a rigor di logica, quella originale – sia quella inglese.
Final Fantasy XVI è, per me, una mezza delusione. Ha un incipit eccezionale, alcuni momenti esaltanti come pochi e un combat system che – nonostante il grado di sfida inconsistente – riesce a divertire per decine e decine di ore. Ha però anche dei problemi di ritmo disarmanti, una narrativa inutilmente complicata e poco interessante, e dei problemi tecnici davvero imperdonabili. Ma il problema più grosso, dal canto mio, è che manca di cuore; quel cuore che avevano sia Final Fantasy XV che Final Fantasy 7 Remake, e che viene appiattito qui da una sensibilità marcatamente più shonen, che non ha nemmeno il coraggio di andare fino in fondo. È comunque un viaggio che merita di essere vissuto, e che presenta oltretutto dei picchi generazionali verso cui è difficile rimanere indifferenti, ma da un capitolo canonico di uno dei franchise più importanti della storia del videogioco mi aspettavo sinceramente di più.
Final Fantasy XVI è disponibile dal 22 giugno 2023 su PlayStation 5.
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