Journey to Foundation | la recensione | PSVR2, Meta Quest

Giocato su Meta Quest 3

In VR chiediamo spesso a gran voce titoli narrativi, profondi, simili ai tripla A di produzione occidentale che imperversano oggi nel mondo dei videogiochi. In realtà virtuale, però, questo tipo di produzioni non solo scarseggia, ma – spesso e volentieri – non riesce nemmeno a raggiungere un livello qualitativo che sfiori la sufficienza, a causa delle difficoltà nell’implementare in questo nuovo linguaggio tutto quello che abbiamo imparato dal videogioco tradizionale. Ci provano i ragazzi e le ragazze di Archiact, che avevano già lavorato al porting PSVR di Doom 3, oltre che su Evasion e Freediver, e che arrivano in questi giorni con un prodotto tutto nuovo basato sul bestseller di Asimov: Fountation. Saranno riusciti a mantenere le alte aspettative dietro a un’operazione del genere?

Il dott. Hari Seldon, due secoli prima delle vicende narrate in Journey to Foundation, aveva predetto il crollo dell’impero galattico, e creato una fondazione che nasceva con l’unico intento di arginare il caos. Il nostro alter ego è un’agente della sicurezza legata all’impero, che si ritroverà invischiata nella ricerca di questa fondazione, e da cui dipenderanno le sorti del mondo. È un setup tipico da sci-fi vicino al gusto e ai toni dell’autore da cui Journey to Foundation saccheggia esplicitamente a piene mani, con tanto di colpi di scena, cambi di prospettiva e scelte importanti da compiere.

Le scelte della protagonista, oltre che muovere le fila del racconto, fanno anche parte dell’intera struttura ludica su cui si basa l’intero design del titolo di Archiact. Ogni volta che parleremo con un personaggio potremo rispondere in diversi modi, cambiare il suo punto di vista attraverso le nostre abilità e – addirittura – modificare il suo umore. Questo andrà a cambiare in qualche modo il racconto, che – sebbene non risulti particolarmente ramificato, come succedeva invece (ad esempio) nelle opere Telltale – riesce comunque a restituirci un certo senso di libertà rispetto al punto di vista della protagonista. 

Oltre a parlare e a decidere la direzione di uno specifico dialogo, però, Journey to Foundation propone anche una lunga serie di scontri a fuoco, qualche piccolo enigma ambientale, e un po’ di sana esplorazione, tra arrampicate, lunghe camminate e corse contro il tempo.

Sembra un po’ lo scheletro di giochi come Star Wars: Tales from the Galaxy’s Edge o Red Matter 2, quello dell’ultimo lavoro di Archiact, con più dialoghi, e un accento più importante sulle scelte di chi gioca. Sembra quasi troppo bello per essere vero, e infatti Journey to Foundation non è esattamente quello che definirei un grande gioco.

Nonostante il titolo si presenti bene anche nella sua versione Quest, e si dimostri particolarmente ambizioso sul fronte del design, Journey to Foundation non riesce a fare davvero bene nessuna delle meccaniche che propone, se non l’unica (parzialmente) originale. Simpatica l’idea dei dialoghi a scelte multiple, nonostante una scrittura non sempre eccellente, ma lo shooting è criminale per quanto insoddisfacente, l’IA nemica imbarazzante, i puzzle dei semplici “raccogli e inserisci”, che si esauriscono sempre in un’unica stanza. Sono tutte meccaniche che abbiamo già visto altrove sfruttate decisamente meglio, e che qui risultano soltanto piatte e non necessarie, quasi fossero un riempitivo per evitare di proporre al pubblico un prodotto più vicino a una visual novel che a un’avventura tradizionale.

Il level design estremamente contenuto sottolinea poi la mancanza di un’infrastruttura necessaria a portare a compimento un’opera di questo tipo, facendoci rendere conto – ancora una volta – che ciò che potrebbe funzionare in flat non funziona necessariamente anche in VR. Non mi stancherò mai di dirlo: in realtà virtuale, almeno per ora, funzionano quasi esclusivamente quei prodotti semplici, che nascono per esplorare a fondo un’unica meccanica, e non quelli che provano a fare il minestrone con dentro tutto quanto, senza avere la potenza di fuoco necessaria. Journey to Foundation è invece uno di questi giochi: si lascia portare a compimento, nelle sue cinque, sei ore di durata, ma ci lascerà infine con l’amaro in bocca: quello di chi non si è davvero goduto quell’avventura fantapolitica suggerita dalle premesse del gioco.

Tecnicamente parlando, ci troviamo poi di fronte a un titolo che dimostra una certa personalità estetica, anche in più occasioni, ma che soffre un po’ dell’hardware proprio di Meta Quest 3. Mi chiedo ancora come sia possibile che Red Matter 2 sia così bello sul nuovo standalone di Meta, mentre altri titoli non riescono a raggiungere nemmeno un quarto della qualità proposta da Vertical Robot, ma – ahimè – fino a quando Meta Quest 2 non verrà abbandonato, mi sa proprio che la rincorsa alla “grafica” rimarrà ancora con il freno a mano tirato.

Lodevole, oltretutto, la presenza dei sottotitoli in italiano, tuttavia totalmente compromessi dalla formattazione attraverso la quale ci vengono presentati a schermo, con a capo posizionati totalmente a caso, che rendono estremamente faticosa la lettura. Quantomeno, chi non conosce la lingua inglese e riuscirà a sorvolare sui difetti della produzione, potrebbe comunque capirci qualcosa.

Journey to Foundation è un’avventura che si rifà a un certo schema tradizionale del videogioco in flat, e in vr – senza il dovuto budget e know how – questo non funziona. È un videogioco che prova a fare tante cose, ma che risulta infine un piccolo corridoio poco entusiasmante su tutti i fronti, se non quello della mera interazione narrativa. Chi sarà in grado di sorvolare sui suoi difetti intrinsechi potrebbe comunque passare qualche ora ingaggiato dentro a una storia sufficientemente interessante, ma se vi aspettavate la nuova grande avventura per realtà virtuale potreste rimanere sinceramente delusi. 

Journey to Foundation è disponibile da giovedì 26 ottobre al prezzo di 39,99€ su Meta Quest 2, Meta Quest 3, Pico 4 e PlayStation VR2.






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Alessandro Redaelli

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