Giocato su Oculus Quest 2 in Air Link su PC
Quasi non ci credo, ma finalmente, oggi, esce Lone Echo II. Vi ho parlato in lungo e in largo del primo capitolo firmato da Ready at Dawn: il primo grande capolavoro della realtà virtuale, che nel 2017 ci aveva dato modo di sbirciare dentro a un futuro meraviglioso, grazie a una storia scritta splendidamente, un gameplay semplice ma straordinario, e un senso d’immersione che ci ha fatto sognare per molti anni a venire. Lone Echo è stato il nostro 2001: Odissea nello Spazio: l’equilibrio perfetto per un’opera VR narrativa, e quattro anni dopo possiamo finalmente vederne la sua conclusione. Scopriamo insieme se le altissime aspettative sono state rispettate, e se l’attesa è valsa il prezzo del biglietto nella nostra recensione.
Avevamo lasciato Olivia Rhodes e il suo droide Jack con un cliffhanger da pelle d’oca: catapultati quattrocento anni dopo la minaccia appena affrontata. Poi una voce nel buio, e la consapevolezza – finalmente – di non essere più soli. In questo secondo capitolo ci risvegliamo ancora nei panni di Echo One, dopo che Olivia è riuscita a salire a bordo di una nave apparentemente amica. Se in un primo momento la nuova location sembra comunque priva di una presenza umana, ben presto i due protagonisti entreranno in contatto con un nuovo personaggio che, nell’ombra del suo laboratorio, sta cercando di creare una cura alla mutazione che ha piegato l’umanità. Il nostro compito sarà quindi quello di aiutarlo, cercando la soluzione definitiva a un problema globale, girovagando tra vecchie basi di ricerca, detriti spaziali e – perché no – diverse linee temporali.
L’enorme ambizione dell’opera firmata da Ru Weerasuriya e Nathan Phal-Liff si evince già soltanto dal soggetto di questo secondo episodio, caratterizzato da un respiro più vicino al blockbuster, e che si allontana dalle intenzioni più intimiste del capitolo uno. O quasi, perché se l’asticella settata da Ready at Dawn su tutti gli elementi del gioco si alza clamorosamente, il tono e ritmi volutamente lenti e anticlimatici di Lone Echo si espongono qui fin da subito con un’insistenza che definire anti commerciale è dire poco. In Lone Echo II si parla tanto, si ascolta quasi troppo e si viaggia a una velocità quanto più lontana dal concetto di action spaziale a cui siamo tristemente abituati, in favore di un’epopea quasi romanzesca, che ci restituisce tutta la pesantezza – nel senso più positivo del termine – del racconto sci-fi alto. Più di sci-fi, parlerei infatti di slow-fi: un racconto dall’impostazione d’avventura classica, ma che si mette in scena con l’eleganza di chi non deve niente a nessuno.
Se spesso infatti titoli di questo tipo vedono svolte sempre più ritmate, finendo per perdere gli elementi linguistici che li contraddistinguevano, Lone Echo II ripropone ed esagera tutti i suoi elementi più intimamente personali, soprattutto nel gameplay. Le azioni che Jack andrà a compiere saranno ancora quelle: riparare terminali, aprirsi la via attraverso il suo cutter, ed eliminare le piccole infestazioni di mutazione presenti nel mondo di gioco, sottolineando ancora una volta scelte di game design ben precise. In questo caso, però, i tool a nostra disposizione andranno ad ampliarsi strada facendo, arrivando anche a una piccola pistola laser, che non decreta comunque una svolta verso l’action decisamente – e consapevolmente – non necessaria. Tutto qui: in Lone Echo II si viaggia da una parte all’altra dello spazio coi nostri propulsori e si risolvono problemi tecnici, esattamente come farebbe un droide di supporto su una base spaziale. Eppure, ogni singola azione che compiremo, ci sembrerà meravigliosamente catartica.
Il titolo di Ready at Dawn sa che in realtà virtuale non conta tanto cosa fai, ma come lo fai; e infatti aprire uno sportello danneggiato è spesso più entusiasmante di una lunga sparatoria di un FPS generico e casinaro. Ogni elemento di gioco, in Lone Echo II, sembra importante, quasi essenziale, perché è legato a doppio filo con la sua splendida narrativa, e il suo incredibile world building.
E, a proposito di mondo di gioco, in questo caso la software house statunitense fa all in, restituendoci non solo una serie di location ricchissime e variegate, ma proponendoci – udite udite – una struttura sostanzialmente open world. Dopo il primo atto del gioco, avremo infatti la possibilità di esplorare più sezioni di un’ampia area dello spazio profondo, che potremo visitare volando con il nostro corpo, o aggrappandoci ai droni che girovagano intorno al nostro hub. In un mondo in cui il gaming flat fa a gara a restituire una mappa sempre più inutilmente grande sembra una cosa da poco, ma vi assicuro che in un prodotto VR una cosa del genere non era mai successa, nel bene o nel male.
Muoversi per i luoghi modellati da Ready at Dawn incute allo stesso tempo timore ed esaltazione, è un concentrato di adrenalina che non esplode mai in un momento facilmente spettacolare, ma che ti entra dentro ad ogni angolo di mondo, ogni corridoio, ogni nave infestata da una malattia che continua a espandersi troppo in fretta. Il mondo di gioco si dimostra meraviglioso in ogni sua sfaccettatura, ed è tanto meraviglioso che quasi fa troppo, e si brucia con i suoi stessi strumenti.
È tutto così mastodontico, eppure pieno di dettagli, che la fatica nel far muovere al mio PC di fascia alta tutto questo ben di Dio è stata palpabile dal primo all’ultimo secondo di gioco. Con un i9 di ultima generazione, 64Gb di ram e una 1080Ti, il gioco mi è inizialmente partito con una risoluzione dinamica e un temporal anti aliasing che pareva di giocare su Virtual Boy, e non sto scherzando. Settando tutto a medio, con una risoluzione fissa al novanta per cento e qualche rinuncia su ombre e particellari, sono riuscito a godermi il titolo in modo mediamente fluido, con qualche incertezza qua e là nei momenti più faticosi. Tra le urla e i pianti della mia povera macchina da gioco, in ogni caso, la stessa ha dimostrato comunque più volte di non riuscire a gestire l’enorme mole di dati che gli erano stati dati in pasto. Texture che si caricavano dopo molti secondi dall’avvicinamento, modelli che non riuscivano a stare al passo con i miei movimenti, schermate di caricamento improvvise che spezzavano di qualche secondo il ritmo. Nonostante l’impatto da mascella spalancata, la mia personale esperienza con Lone Echo II non è stata facile, eppure, sul mero fronte tecnico, le differenze con il primo capitolo sono soltanto in termini di scala.
Fortuna vuole che la forza esplosiva di ogni momento vada a ripagare un’ottimizzazione che, forse, non è nemmeno possibile con le attuali macchine a oggi a disposizione nell’ambito del gaming consumer.
Se Lone Echo II stupisce in modo plateale con i suoi momenti in campo aperto, è però nelle situazioni più intime e personali che la scrittura degli sceneggiatori di Ready at Dawn dimostra il meglio di sé. Come anticipato, in questa ultima esclusiva PCVR di Oculus si parla tanto, ma si parla anche bene. Se odio sempre quando in VR il ritmo viene spezzato da dialoghi infiniti e momenti d’attesa, è anche vero che questo succede prevalentemente perché di quello che ascolto non me ne frega niente. In questo caso, invece, la scrittura è così naturale – e le interpretazioni così convincenti – che dieci minuti filati di dialogo mi pesano meno di quattro risposte su Skyrim VR, e il merito va spesso a dei personaggi che funzionano come raramente succede in realtà virtuale. Jack, Olivia e gli altri nuovi co-protagonisti, sembrano veri, sembrano a fianco a te, pronti a dirti cosa fare, ma anche a consolarti e aiutarti nel momento del bisogno. In particolare, Olivia sfoggia un’intensità – già dimostrata col capitolo precedente – che non solo non ha eguali nel mercato VR, ma ha pochissimi eguali in tutto il mercato videoludico contemporaneo.
In questo caso bisogna ringraziare anche un lavoro sulle animazioni, sia facciali che di tutto il corpo, che risultano se possibile ancora più impressionanti rispetto a Lone Echo, e che restituiscono – a fronte dei problemi d’ottimizzazione – un impatto visivo che solo Half Life: Alyx, ad oggi, è riuscito a darci. Meraviglioso anche il lavoro sulla colonna sonora e sull’audio, dosato sempre a dovere nel suo impressionante mix 3D, e che si affianca con grande forza a una componente artistica d’indubbia qualità.
Qualche bug non troppo invalidante e una reiterazione un po’ troppo insistita di alcune dinamiche tra i personaggi nell’ultimissimo atto distanziano di un pelo questo secondo capitolo dal primo in termini di focus, ma è anche vero che letteralmente chiunque ha giocato l’opera madre non potrà che fiondarsi e capofitto su questa nuova avventura.
Essendo questo un capitolo conclusivo, Lone Echo II dura sicuramente più del primo nella sua storia principale, presentandoci circa sette, otto ore di main quest per essere portato a termine, ma la sua anima curiosamente open world può regalare molte più soddisfazioni ai completisti. Durante il nostro viaggio ci imbatteremo anche contro svariate missioni secondarie, che ci porteranno a scoprire nuovi elementi narrativi, o a sbloccare elementi collezionabili utili per gli achievements. Questo vuol dire che, decidendo di mettersi d’impegno, e con la volontà di chiudere anche le missioni secondarie, Lone Echo II vi durerà serenamente più di undici, dodici ore.
Rimarrà deluso, invece, chi si aspettava finalmente una traduzione in italiano. Il titolo di Ready at Dawn è in inglese dall’inizio alla fine, e – anche a causa della sua natura estremamente verbosa – potrebbe allontanare chi non conosce la lingua a un buon livello. È anche vero che, al contrario del capitolo precedente, sono stati finalmente inseriti i sottotitoli, che – volendo – potrebbero venir tradotti a un certo punto da qualche community in giro per la rete.
Lone Echo II ha l’ambizione del capolavoro, e non ci arriva per un soffio soltanto a causa di una realizzazione tecnica che – oggi – risulta ingiocabile al massimo delle sue possibilità su qualunque hardware consumer in circolazione. In ogni caso una scrittura estremamente raffinata, un gameplay soddisfacente e un mondo di gioco da lasciarci senza fiato, fanno dell’ultimo capitolo di Lone Echo un altro tassello del grande muro degli imperdibili che sta costruendo, con fatica, la realtà virtuale. Lone Echo II è bello come il primo sotto molti aspetti, più efficace sotto altri, e più debole su altri ancora, ma una cosa è certa: un titolo così maturo e consapevole non lo rivedremo troppo presto.
Lone Echo II è disponibile dal 12 Ottobre 2021 su Oculus Store, compatibile con Oculus Rift, Oculus Rift S e Oculus Quest o Oculus Quest 2 in Link o Air Link.
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