Giocato su PlayStation 5
Parliamoci chiaro: cosa non si è già detto di Marvel’s Spider-Man 2? Dell’ultima gargantuesca esclusiva Sony, figlia di quegli Insomniac Games che sono ormai garanzia di qualità nel contesto del prestige game per tutti, se ne è parlato ovunque. Abbiamo già letto le recensioni ben prima del day one; se ne è scritto sui siti di videogiochi e sui quotidiani nazionali; online è già pieno di guide per sbloccare questo o quell’altro contenuto. E allora, mi sono chiesto, perché coprirlo anche su VR Italia? La risposta è semplice: quella di oggi non è una recensione tradizionale, perché non ce n’è sinceramente bisogno, ma un mio personale viaggio alla ricerca della risposta a una singola domanda. La domanda è: perché, nel 2023, abbiamo ancora bisogno di giochi come Marvel’s Spider-Man 2?
Può sembrare una provocazione, ma sono tremendamente sincero. Il medium videoludico esiste oramai da decenni, e le abbiamo viste davvero tutte. Siamo partiti da videogiochi che presentavano un’unica meccanica, e abbiamo poi integrato una storia, i generi, le contaminazioni tra gli stessi. Abbiamo visto nascere il doppiaggio, i QTE, il multiplayer online, gli achievement, la realtà virtuale. Oggi le possibilità esplorabili attraverso il videogioco sono realmente infinite, eppure chi fruisce del medium sembra cercare sempre e soltanto Marvel’s Spider-Man 2: un videogioco che fa tutto bene, ma lo fa esattamente come lo faceva il capitolo prima, e come lo faceva quell’IP ormai lontana, da cui sono nate le meccaniche di cui il titolo di Insomniac Games si è appropriato.
È il videogioco “generico” che ha dentro tutto, quello che – apparentemente – piace al core gamer: quello con la narrativa cinematografica, un gameplay facilmente interiorizzabile, le side-quest, i mini giochi e la grafica muscolare da tripla A. Cosa c’è di male? Vi chiederete voi. Niente, non c’è niente di male, fino a quando Marvel’s Spider-Man 2 non diventa il benchmark attraverso il quale decidiamo cos’è, o non è, un buon videogioco.
Sul titolo, nello specifico, ripeto che non ho nulla in più da dire rispetto a ciò che è già stato detto. La storia prosegue le avventure già iniziate con il precedente capitolo e lo spin off Miles Morales, abbiamo due diversi Spider-Man da far scorrazzare a tutta velocità per la città di New York, abbiamo un combat system più raffinato e veloce, e qualche elemento di quality of life che velocizza ogni processo legato alle sue meccaniche. Si potrebbe semplificare a questo, Marvel’s Spider-Man 2, oltre che al suo comparto tecnico descritto da molti come la seconda venuta di Cristo quando, a colpo d’occhio, non sembra poi così diverso da ciò che ci aveva già regalato la precedente generazione.
Potrei parlarvi di come ogni elemento, in Spider-Man 2, sia stato raffinato in una formula adatta a ogni giocatore, o di come lo studio si sia impegnato – con risultati lodevoli – a risultare il più inclusivo possibile nella rappresentazione delle “categorie” decodificate dalle regole proprie del contemporaneo. O di come la narrativa rispetti con grande precisione gli appuntamenti narrativi necessari a ingaggiare chi gioca nella storia, senza però ricalcare le regole del coming of age, su cui si basavano gli episodi precedenti. Vi potrei sì parlare di tutto questo, ma questa non è una recensione tradizionale, e – forse – non è nemmeno una recensione.
Il discorso che continuava a girarmi in testa, e che voglio condividere con voi in questo contesto, è in realtà semplice: cosa me ne faccio – io – di un prodotto nato chiaramente con il contagocce, quasi fosse un prodotto da laboratorio venuto fuori analizzando ciò che la maggior parte della gente si aspetta? Marvel’s Spider-Man 2 è tutto così: dal primo all’ultimo secondo ti sbatte in faccia quello che il pubblico core vuole vedere, le meccaniche che vuole giocare, gli snodi narrativi a cui vuole assistere, i turning point ludici che, gradualmente, inizia a bramare. È la traslazione videoludica del miglior film dell’MCU, che – se vogliamo – non è poi così distante dalla pornografia, in termini filosofici. L’ultima esclusiva Sony risponde semplicemente a un’esigenza. Non aggiunge qualcosa al linguaggio, non regala niente di più rispetto a ciò che un videogiocatore medio, oggi, vuole: è puro edonismo consensuale, che non fa male a nessuno, ma che non ci costringe a fare niente.
Ieri sono andato al cinema a vedere Killer of the Flower Moon, l’ultimo film di Martin Scorsese, che narra le vicende di un gruppo di nativi americani all’inizio del ‘900, e del popolo bianco, arrivato nelle loro terre per uccidere e arricchirsi. Apparentemente, Killer of the Flower Moon non c’entra niente con l’ultimo videogioco di Insomniac, ma avere fruito di entrambi i prodotti in un lasso di tempo così ristretto mi ha dato da pensare. Il film di Scorsese è respingente, inaccessibile e non fa sconti a nessuno. È un film che ti costringe a fare dei ragionamenti, anche puramente di linguaggio, e che non ti restituisce mai quello che vuoi o quello che ti aspetti. In un certo senso è l’antitesi esatta di Marvel’s Spider-Man 2, ma fa parte – giustamente – di un linguaggio e di un mercato totalmente diverso. Eppure, anche nel videogioco abbiamo i Death Stranding, anche noi abbiamo i Journey, i Firewatch, gli Immortality. Abbiamo dei videogiochi che costringono chi gioca a fare uno sforzo, per poi ricompensare con il premio più importante di tutti: l’arricchimento personale. E senza scendere nel prodotto più spiccatamente e volontariamente intellettuale abbiamo anche noi quei videogiochi che – invece – sperimentano puramente con il linguaggio, andando ad arricchire non soltanto la nostra percezione del medium, ma il medium stesso.
Lo stesso giorno in cui è uscito Marvel’s Spider-Man 2 è uscito anche Super Mario Wonder, l’ultima fatica Nintendo: l’ennesima iterazione del franchise di Super Mario. Esattamente come il titolo Insomniac, Super Mario Wonder parte dalle basi buttate giù dai capitoli precedenti della saga, in questo caso addirittura dal primo Super Mario, quello del 1983. Tuttavia, com’è solita fare Nintendo, il nuovo Mario è un Mario che innova, che sa stupire, sperimentare con il linguaggio e reinventarsi costantemente, livello dopo livello. E non ha bisogno del Ray Tracing, di una storia cinematografica, delle cutscene, delle side-quest, dei costumi, dei potenziamenti o di un open world sempre più vasto. Super Mario Wonder è un prodotto ludico al cento per cento, che arriva a tutti ma che preserva una stratificazione intrinseca che forse manca alle ultime esclusive Sony. Non fraintendetemi, come sono cresciuto con Nintendo sono cresciuto con PlayStation, e la maggior parte dei titoli che mi hanno formato arrivano dalle prime due generazioni di console Sony: generazioni che sapevano innovare e lavorare sulle nicchie, e che non avevano bisogno del grande minestrone da laboratorio, in cui ogni elemento lavora in funzione di piacere semplicemente al maggior numero di persone possibile. Come siamo passati, in poche generazioni, da Symphony of the Night, Silent Hill, Parappa the Rapper, Ape Escape e Vib Ribbon a God of War Ragnarok e Marvel’s Spider-Man? Dove sono finite le esclusive che avevano voglia di osare, o che sperimentavano con il linguaggio, e che si affiancavano ai prodotti nati appositamente per vendere delle copie? Quanto è paradossale, infine, che l’esclusiva PlayStation più carica di personalità e forza espressiva sia Gran Turismo 7?
Voglio che questo sia molto chiaro: Marvel’s Spider-Man 2 è un gioco molto buono, forse anche qualcosina di più. È tutto al posto giusto, si gioca con piacere e le ore che passerete in sua compagnia non vi faranno sicuramente rimpiangere di averlo incominciato. Semplicemente, magari, alla ventiduesima ora di gioco, mentre vagate per la sua New York iperrealistica e un po’ impersonale, cercando di sbloccare il quarantesimo costume per Miles Morales, vi verrà da pensare: cosa sto facendo? Sto investendo il mio tempo, o lo sto semplicemente facendo scorrere? E se non lo sto investendo, come potrei fare attraverso un’opera esplicitamente culturale (videoludica, cinematografica o letteraria che sia) c’è qualcosa – anche il più microscopico degli elementi – che mi sta arricchendo da qualche punto di vista, in Marvel’s Spider-Man 2? Forse, anche con tutta la buona volontà del mondo, no: lì dentro non c’è niente. Marvel’s Spider-Man 2 non è chiaramente Killer of the Flower Moon, non è nemmeno Death Stranding o Super Mario Wonder, è un gioco che vuole piacere a tutti e che riesce a piacere a tutti, ma il cui fine ultimo è quello di tenerci attaccati al pad a compiere azioni ripetitive, senza – di fatto – servire a nient’altro. A molti andrà bene così (probabilmente alla maggior parte dei videogiocatori) ma se avete superato i trenta, lo state giocando, e quella piccola, innocente domanda che mi sono fatto anche io, spunta di forza, all’improvviso, nel vostro retropensiero, vi invito sinceramente – e senza malizia – a provare a scoprire cosa può offrire un videogioco che impone, e non che asseconda.
Può essere che questa pseudo-recensione sia soltanto un mio pippone personale, dato dal fatto che non abbiamo ricevuto la chiave prima del day one, ma soltanto il giorno prima del lancio. E ho quindi pensato a cosa poter aggiungere a un discorso che, forse, nel macro quadro delle cose e rispetto al target di Marvel’s Spider-Man 2, non serve sinceramente a niente. Forse questa recensione però serve a me, a ricordarmi della direzione profondamente sbagliata che sta prendendo Sony durante questa generazione; a ricordarmi delle scelte di un pubblico che necessita disperatamente di guardare oltre ai propri gusti più tradizionali; a ricordarmi di quanto ci mancano – nel videogioco – opere popolari ad alto budget che smuovano il cervello, oltre che a farci passare del tempo. È vero che i videogiochi “per passare il tempo” devono esistere, esattamente come nel cinema e nella letteratura, ma nessuno – nel cinema – si permetterebbe mai di dire che The Equalizer è un film da 10 e che Killer of the Flower Moon è invece un film inutile e noioso. Perché, nel videogioco, succede l’esatto opposto?
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