Giocato su Oculus Quest 2 con Air Link
Più o meno chiunque, a un certo punto nella propria vita, è stato un metallaro. Faccio mea culpa e ammetto di esserlo stato anche io, durante quel periodo dell’adolescenza in cui l’unico genere che tolleri è il più pesante e incomprensibile possibile, così da dimostrare un qualcosa – che ancora non ho ben capito cos’è – a te stesso e agli altri. A un certo punto però, come ogni persona con un QI sopra il trenta, ho ovviamente iniziato ad abbracciare anche, e soprattutto, tutta quella musica che mi ero perso fino a quel momento per semplice stupidità. Questo non vuol dire che io non continui ad ascoltare, ogni tanto e con parsimonia, sia quei gruppi che in qualche modo mi hanno formato, sia i nuovi dischi più interessanti della scena metal internazionale. Nonostante tutto però, il viking metal è una roba che non ho mai capito. Troppo stupido per esser preso sul serio, troppo pomposo per esser abbracciato con leggerezza; il sotto genere del metal più amato dai metallari più esplicitamente boomer è un qualcosa a cui non sono mai riuscito a dare una collocazione ben precisa. Fino ad oggi. Scopriamo il perché nella nostra recensione di oggi.
WanadevStudio è quella software house che ci aveva stupito con grande gioia qualche mese fa con Propagation VR, uno sparatutto dal respiro arcade meraviglioso, che ancora oggi continuo a rigiocarmi con piacere. Dopo un prodotto di quel tipo mi aspettavo un altro simil horror dalle stesse meccaniche, o un ampliamento di quel concept all’interno di un design più tradizionale; e invece lo studio francese se ne frega delle aspettative, e ci propone l’ennesimo rythm game del mercato VR, o quasi. Se è vero che giochi in cui rompere roba a tempo di musica in realtà virtuale ne abbiamo da qui fino alle prossime sei generazioni di console, è anche vero che un po’ tutti sono andati col tempo ad amalgamarsi al concept di Beat Saber, sia nel gameplay, che nella sua colonna sonora. Wanadev decide invece di prendere una strada non ancora battuta, e ci mette alla guida di una piccola nave vichinga, accompagnati da una tracklist metal che mai avrei pensato di definire meravigliosa.
Partiamo dal gameplay: in Ragnarock quello che dovremo fare sarà semplicemente schiacciare i tamburi a tempo di musica, andando a premere su tutte le rune che passeranno sugli stessi, e ottimizzando un turbo che potremo usare soltanto dopo aver accumulato un buon numero di combo senza fail. Niente di più semplice, eppure il solo contesto dentro cui Ragnarock ci immerge ci fa credere di star giocando ad un prodotto totalmente diverso da tutto il resto del mercato.
Se dal punto di vista delle pure meccaniche il prodotto Wanadev non si discosta infatti da quello che abbiamo già visto in questi cinque anni di realtà virtuale, viaggiare tra i lunghi fiumi vichinghi che si rifanno alla mitologia nordica e gli elementi fantasy propri del genere, è un qualcosa di realmente esaltante, che per un rythm game non è cosa da poco. Anche le finezze stilistiche e di gameplay, come il turbo eseguito al tocco di un piatto che farà urlare all’unisono i nostri scagnozzi, contribuiscono a creare un mood unico nel suo genere, che non mancherà di appassionare i fan del viking metal e non solo.
Come anticipavo, non sono mai stato un fan di questo specifico sottogenere, ma Ragnarock mi ha invece fatto capire quanto bene si sposi con questo genere di produzioni. È un’affermazione ardita, ma sembra quasi che il viking metal sia nato in funzione di Ragnarock, con cui si sposa in maniera eccezionale sia sul fronte stilistico, che su quello del game design. Dagli Alestorm ai Gloryhammer, fino ad arrivare ai Wind Rose, la tracklist del titolo è ricca ed estremamente divertente, e ci propone brani sia molto famosi nell’ambito, che piccole perle minori che sono contento di aver scoperto.
Per quanto concerne la costruzione del livello, Ragnarock si aggira dalle parti di Beat Saber, ma il titolo Beat Games gli risulta comunque superiore. Nonostante la maggior parte dei livelli siano costruiti a regola d’arte sul fronte del timing dei colpi e dei movimenti, alcuni altri dimostrano invece un’approssimazione un po’ eccessiva, che verrà sicuramente risolta nel tempo ma che – dopo un lungo periodo di early access – volevo aspettarmi già completamente risolta. Niente di troppo fastidioso, e un buon ottanta per cento della tracklist si gioca già meravigliosamente bene, ma la finezza del sopracitato capolavoro rimane ancora intoccata. Anche il lavoro sul tocco non è eccezionale, e nonostante non ci si faccia così tanto caso mentre si salta e suda da una parte all’altra della stanza, scoccia un po’ che il colpo sul tamburo non restituisca un feedback aptico e sonoro all’altezza del resto della produzione.
Visivamente Ragnarock fa centro, con uno stile low poly che sottolinea una palette cromatica estremamente elegante e degli effetti visivi efficaci, risultando anche una gran gioia dal punto di vista stilistico. Chi l’ha detto che in un rythm game anche l’occhio non voglia la sua parte? Ragnarock dimostra che farsi le proprie sessioni di fitness immersi in un bell’ambiente può essere ancora meglio che farlo all’interno di un setup più sterile, e che l’elemento gaming risulta importante a prescindere dal genere di appartenenza.
Bella anche la possibilità di giocare in multiplayer, grazie alla meccanica base della nave, che ci farà vedere in real time chi dei due giocatori coinvolti sta andando meglio, e che aggiunge dell’altra profondità ad un prodotto già quasi perfetto.
Esiste anche la possibilità di creare le proprie custom track, con cui la community si sta già divertendo e che potrebbero ampliare considerevolmente una tracklist già estremamente ghiotta. Su questo punto però, ahimè, dovremo aspettare qualche mese per vedere come la community deciderà di supportare il prodotto, e se Ragnarock toccherà i fasti di Beat Saber o rimarrà relegato alla nicchia come altri prodotti analoghi.
Felice di vedere anche delle opzioni legate allo streaming e il recording, che ci permettono di registrare i nostri gameplay non solo attraverso una camera POV più larga e morbida, ma anche di cambiare i punti di vista della telecamera a seconda di ciò che stiamo cercando. Non mancano poi anche alcune opzioni legate al motion sickness, che – nonostante lieve – potrebbe scoraggiare chi non regge nemmeno un breve movimento orizzontale costante. In questo caso molti elementi sono disabilitabili, e anche chi soffre di chinetosi potrà giocare serenamente Ragnarock senza alcun problema.
Ragnarock è il miglior rythm game metal della storia della VR, se non uno dei migliori esponenti del genere più in generale ad essere approdati sui nostri caschetti di realtà virtuale. C’è poco altro da dire sul prodotto di Wanadev Studio, se non che chi ama il viking metal e tutti i generi che gli gravitano attorno lo amerà alla follia, come potrebbe adorarlo sinceramente anche chi non si è mai approcciato al genere o chi, come il sottoscritto, gli si è allontanato da molti anni. Altro che God of War, Ragnarock è il gioco sulla mitologia norrena che ci meritiamo, e sono davvero contento che in questo caso si parli di un prodotto esclusivo per realtà virtuale.
Ragnarock è disponibile dal 15 luglio 2021 al prezzo di 21,99€ su Steam, compatibile con HTC Vive, Valve Index, Oculus Rift, WMR e Oculus Quest (in link o air link).
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