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Rise of the Ronin | la recensione | PS5

Giocato su PS5

Cosa rende, agli occhi del pubblico, un’esclusiva PlayStation tale? Generalmente è un mix di tre ingredienti: un racconto universale, pop e avvincente; un gameplay stratificato ma accessibile; un impatto tecnico o artistico capace di alzare l’intera asticella di tutta un’industria. Rise of the Ronin, che arriva a cinque mesi dall’ultima grande esclusiva PlayStation, non raggiunge nessuno di questi tre obiettivi, ma risulta comunque – in qualche modo – un prodotto che nasce da una filosofia lodevole, che ci ricorda quei tempi in cui ancora quelle tre specifiche prerogative non erano contemplate. 

Riparto con un’altra domanda: cosa rende un soulslike tale? Il tono nell’immaginario, la profondità del gameplay e il combat system. Team Ninja aveva ben presente questi tre elementi quando diede vita a Nioh e al suo seguito, restituendoci un simil Dark Souls in miniatura, ma a suo modo personale e godibile, come dovrebbe fare chiunque tenti di approcciarsi al genere senza la sensibilità propria soltanto di Miyazaki. Con Rise of the Ronin il team di Koei Tecmo decide invece di fare all in, proponendoci un soulslike che strizza l’occhio a Elden Ring per quanto riguarda estensione e ambizioni, cercando di integrare anche quegli elementi più popolari e tradizionalisti, tipici delle produzioni dal taglio universale. Ecco quindi che la nuova esclusiva Sony si presenta come un bizzarro mix tra Nioh e un Assassin’s Creed qualsiasi, in cui affrontare missioni su missioni incentrate quasi esclusivamente sul combattimento, mentre esploriamo un Giappone feudale immenso, ricco di attività secondarie e contraddistinto oltretutto da più linee narrative, che si sviluppano a seconda delle scelte del giocatore.

Il racconto è ambientato alla fine del periodo Edo, durante la nota epoca Bukamatsu, quando il paese lottava per l’indipendenza, e si consumavano le più svariate e sanguinose battaglie tra lo Shogunato e le sue fazioni ribelli. Il nostro protagonista, che è possibile personalizzare in ogni suo dettaglio tramite un’editor inaspettatamente profondo, è un combattante misterioso che perde la sua metà gemella, e che – durante i tumulti tipici di quel periodo storico – attraverserà tutto il Giappone pur di ritrovarla. Nel frattempo dovrà scegliere come posizionarsi: se dalla parte dell’ultimo governo feudale del paese, o allearsi con le sue forze avversarie. È un racconto sulla carta interessante, ma sviluppato attraverso una scrittura – e soprattutto un ritmo – a dir poco respingente. I personaggi che modulano la trama sono piatti, poco interessanti, stilizzati come non mi succedeva di vedere da un’epoca videoludica oramai lontana, a cui Rise of the Ronin sembra paradossalmente ambire. È una storia che manca di un qualunque tipo di appeal sul pubblico e che prova a replicare un po’ l’andamento di Ghost of Tsushima ma senza la sua eleganza, risultanto semplicemente fiacco e accessorio, in funzione di un combat system che è chiaramente il vero e unico interesse di Team Ninja.

Come anticipato, Rise of the Ronin, da questo punto di vista, è un mix tra un Souls e un action proprio della prima metà del curriculum di Team Ninja. Gli elementi sono sempre quelli: l’attacco leggero e pesante, le mosse speciali, il parry, il backstab, gli stili e la schivata, ma nell’ultima esclusiva PlayStation c’è spazio anche per qualcosina in più in termini di mobilità. Il nostro protagonista può anche saltare, planare e – soprattutto – usare un rampino, che gli permette sia di muoversi con più agilità nella mappa di gioco, che di aggangiarsi a un nemico per avvicinarlo a sé. Sono una serie di elementi che rendono i combattimenti di Rise of the Ronin piacevoli, mediamente bilanciati e stimolanti, fino a quando non inizia a farsi sentire con un po’ troppa insistenza il difetto più grosso dell’intera produzione: la ripetitività.

Nonostante il grosso mondo di gioco a disposizione e la possibilità di esplorarne ogni angolo, sia a piedi che a cavallo, il game loop di Rise of the Ronin sembra uscito da un vecchio gioco dimenticato per PlayStation 3, quando ancora si tentava – sul fronte ludico – di esplorare un unico discorso, senza orpelli altri di alcun tipo. Le missioni sono tutte identiche: si accetta un ingaggio, si viene teletrasportati dentro a un’aria di medie dimensioni, e si va avanti a eliminare nemici e aprire porte fino ad arrivare al boss finale. Tutto qui, sempre e comunque. Non è contemplata, nelle sue missioni principali, l’esplorazione; non è contemplato qualche momento più scriptato e cinematigrafico tipico dei prestige game PlayStation; non c’è nient’altro se non il combattimento un po’ fine a sé stesso, che muove stancamente e lentamente la trama verso l’atto successivo. A nulla serve il cambio di tre differenti ambientazioni – rispettivamente Edo, Yokohama e Kyoto – a nulla servono le decine e decine di missioni secondarie fatte con lo stampino, a nulla servono una lunghissima serie di elementi superflui che ci vengono presentati in continuazione, anche superata la decina d’ore di gioco. È tutto inutile, è tutto accessorio, perché Rise of the Ronin è pensato come una sequenza di decine e decine di missioni in cui eliminare ogni nemico e sconfiggere il boss finale, spalmate dentro a un open world totalmente irrilevante e fuori tempo massimo.

Ed è proprio qui il succo del discorso, quando si parla di Rise of the Ronin: un prodotto decisamente fuori dal tempo, a cui vengono agganciati sopra elementi che è evidente non vivano nel DNA di Team Ninja. Ora, faccio spesso discorsi come “che bello che era quando PlayStation si focalizzava su giochi più piccoli e specifici, senza la necessità di accontentare tutti”, e sono ancora convinto che sia così. In quel senso, Rise of the Ronin è riuscito a stupirmi proprio per questa sua identità terribilmente demodè, eppure – paradossalmente – piacevole, se spogliata di tutti gli elementi inutili che tentano di rendere pop un gioco che, di fatto, non lo è. E ho quindi pensato: perché PlayStation ha deciso di incollare il suo bollino su un’opera che è quanto di più lontano abbia contraddistinto il brand negli ultimi dieci anni? Se la si vuole pensare con malizia è perché, semplicemente, PlayStation non ha esclusive di rilievo per tutto il 2024, ed è stata un po’ costretta a correre ai ripari, cercando appoggi altri da società amiche. E se fosse invece, come spero, perché ha sinceramente intenzione di tornare un po’ alle origini, alle sperimentazioni, alla volontà di uscire con giochi più contenuti, ma indirizzati a delle nicchie specifiche? Ecco, se anche questo fosse vero, e lo spero sinceramente, Rise of the Ronin non risulterebbe comunque un grande esponente del genere, proprio perché tenta ancora troppo di tenere il piede in due scarpe.

Fosse stato un action dritto e con poche pretese, senza la longevità eccessiva che propone, senza un multiplayer che verrà sfruttato dal cinque per cento dei giocatori, senza l’open world e una trama articolata ma inefficace, Rise of the Ronin sarebbe stato un ottimo primo passo verso il ritorno a ciò che fu realmente la grande intuizione di Sony cinque generazioni fa, ma – purtroppo – non è esattamente così. 

Non solo perché a livello ludico Rise of the Ronin ha il sapore di un cocktail un po’ grezzo e  invecchiato davvero troppo presto, ma anche perché, tecnicamente, il titolo di Team Ninja è visibilmente indietro di un paio di generazioni. Tolto un colpo d’occhio mediocre ma tutto sommato accettabile, i modelli poligonali, le animazioni e l’impianto luce che si porta stancamente dietro il motore proprietario del team sono francamente impresentabili. Era da tanto che non assistevo a un titolo così profondamente vecchio nella tecnica, soprattutto pubblicato come first party, e da questo punto di vista credo che nessuno sia in grado di difenderne le scelte. Certo, Team Ninja non è Naughty Dog, ma credo che nessuno li abbia costretti a puntare su un prodotto così ambizioso e fuori dalle loro possibilità, tanto da risultare quasi inclassificabile in alcuni dei suoi elementi più espliciti. Su carta c’è tutto quello che dovrebbe stare in un’esclusiva PlayStation, ma all’atto pratico anche il tanto agognato doppiaggio in italiano risulta impresentabile tanto quanto quelli che venivano fatti, molto svogliatamente, vent’anni fa.

È anche vero che comunque, una volta entrato nel loop, con Rise of the Ronin mi ci sono anche discretamente divertito, andando avanti con il pilota automatico come si fa con quei prodotti pop e vuoti che stanno più dalle parti di Ubisoft, ma quantomento attraverso una sensibilità spiccatamente orientale, affascinante, e a tratti anarchica. Mi è sembrato quasi, a un certo punto, di aver rispolverato una PS3, e di star giocando alla sopracitata perla nascosta di un’epoca che aveva così tante cose da offrirci, che prodotti come Rise of the Ronin, il più delle volte, ce li siamo quasi persi. È un titolo che si squaglia all’ombra delle sue stesse ambizioni, e che prova a far cose che dovrebbero essere di esclusiva competenza dei team più ricchi, o che, semplicemente, possiamo anche smettere di fare.

Rise of the Ronin è un mezzo passo falso per un nome che sta subendo cambiamenti interni importanti, con il visibile timore di non saper più in che direzione dovrà andare il mercato. Glielo perdoniamo, e qualcuno – con il prodotto di Team Ninja – sarà comunque in grado di divertirsi parecchio, ma ora urge necessariamente prendere una decisione, un po’ come il protagonista di Rise of the Ronin. Tornare alle origini, con giochi più piccoli e specifici, o continuare con il prestige game per tutti? Quantomeno prima dei titoli di coda, una scelta definitiva andrà fatta.

Rise of the Ronin è disponibile dal 22 marzo 2024 al prezzo di 69,99€ su PlayStation 5.






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Alessandro Redaelli

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