The Inpatient: recensione e video recensione

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Chi vi parla è un grande estimatore di Until Dawn. L’esordio di Supermassive Games su Playstation 4 è stato un titolo che attraverso meccanismi visti e rivisti è riuscito a dare un contributo fondamentale all’avventura grafica contemporanea grazie ad una scrittura solida, un’ottima regia e un gameplay che coadiuvava perfettamente il videogioco tradizionale ed il film interattivo. Il primo progetto VR dello studio inglese è stato lo spin-off Until Dawn: Rush of Blood, di cui vi abbiamo parlato recentemente e che, nonostante si allontani enormemente dalle meccaniche del capitolo principale, riusciva a divertire come pochi, presentandosi come il miglior titolo di lancio di PSVR. Quando i nostri annunciarono un ulteriore prequel della saga, sempre in realtà virtuale ma indirizzato verso uno storytelling narrativo, le mie aspettative a riguardo sono dunque cresciute a dismisura.

Ed è un peccato, quindi, che The Inpatient non solo non si dimostri al livello del capitolo principale, ma rischi di essere un antipatico scivolone anche rispetto all’apripista Rush of Blood.

Le premesse di The Inpatient sono giuste, sia sul fronte del concept narrativo che su quello delle meccaniche di gioco. Il titolo racconta infatti di un paziente (o una paziente) ricoverato al sanatorio di Blackwood sessanta anni prima delle vicende che tutti conosciamo, intento a scoprire il suo passato e a scontrarsi con un terribile evento che di lì a poco si realizzerà all’interno della struttura. Il paziente non avrà né un nome, né un ruolo specifico nella timeline degli eventi che caratterizzano la macro storia. Questo ci permetterà di vivere nei panni del protagonista in modo più autentico, avendo anche la possibilità di scegliere il sesso del nostro alter ego e il colore della sua pelle.

Il racconto si apre su un colloquio tra noi e il direttore del sanatorio, che cercherà di farci ritornare la memoria attraverso domande specifiche a cui potremo rispondere tramite riconoscimento vocale. Ogni volta che sarà possibile interagire con un personaggio infatti, un layer in sovraimpressione ci mostrerà le due risposte possibili; entrambe potranno essere scelte sia attraverso un tasto apposito, sia recitando personalmente la frase. La trovata è azzeccata e risponde finalmente ad un’esigenza che si iniziava a sentire all’interno dei titoli narrativi in realtà virtuale, dandoci la possibilità di tenere le redini della storyline in un contesto più intimo.

Tuttavia i problemi del gioco iniziano a fare capolino piuttosto in fretta. Dopo il prologo, verremo trasferiti nella nostra stanza: un piccolo spazio di pochi metri con due letti, una porta e una finestra. In questo piccolo spazio avrà luogo praticamente metà dell’intera avventura, spezzata soltanto da alcune visioni orrorifiche piene di jumpscare gratuiti che cozzano un po’ con il tono generale della produzione, al contrario di quanto succedeva in Rush of Blood. Questa prima parte dell’avventura soffre di conseguenza di grossi problemi di identità, in cui da una parte abbiamo un ritmo estremamente lento composto sostanzialmente da brevi dialoghi che si chiudono sempre con un “vai a dormire” e dall’altro la fiera del balzone, che è esattamente come non andrebbe gestito l’horror psicologico.

Il risultato è dovuto senza dubbio ad una gestione dei tempi dello script che mal si adatta al linguaggio videoludico e che rischia di annoiare velocemente un giocatore che cerca l’interazione più marcata o semplicemente una componente horror più elegante. E sarebbe un grave errore perché, dopo questa prima sezione che si chiude con l’uscita dalla nostra cella, il titolo inizia ad ingranare.

Dal secondo atto sarà infatti possibile muoversi liberamente per i lunghi corridoi dell’ospedale attraverso un comodo sistema di free locomotion, muniti soltanto di un’utilissima torcia elettrica. Qui The Inpatient inizia a regalare qualche gioia, grazie ad un ottimo lavoro sugli ambienti ed una sceneggiatura dal timbro cinematografico che stuzzica in più punti.

Nel nostro viaggio verso l’uscita da Blackwood incontreremo diversi comprimari che si dimostreranno fondamentali nell’avanzamento della trama e andranno seguiti passo per passo, replicando le loro azioni e rispondendo alle loro domande per far progredire la storia verso uno dei molti finali possibili. I personaggi godono tra l’altro di una buona realizzazione poligonale, ma a volte paiono marionette senza vita a mo’ di Mass Effect: Andromeda, con quello sguardo a vuoto che sottrae per forza di cose immedesimazione.

Ciò che lascia un po’ perplessi alla fine di The Inpatient è che il nostro contributo sarà fondamentalmente nullo dall’inizio alla fine, se non per qualche risposta specifica data ai personaggi. Non dovremo combattere nemici, non dovremo trovare oggetti, non dovremo far nulla di ciò che ci si aspetta da quello che viene definito come un survival horror, se non seguire la strada come in un walking simulator dal gusto dark. Questo non è necessariamente un elemento discriminatorio, poiché se vissuto contestualmente al reale genere d’appartenenza il titolo ha comunque degli importanti lati positivi; il problema è che il nostro apporto nullo, diluito in una storia dal ritmo eccessivamente rilassato e pieno di pause non riesce a mantenere l’interesse necessario a renderlo godibile nella sua totalità.

C’è da aggiungere poi qualche problema di troppo con i Playstation Move, che qui reagiscono maluccio rispetto al resto del corpo e sentono la mancanza di un’interazione più approfondita con l’ambiente, dedicata a pochi oggetti e sezioni. I finali inoltre non aiutano, con un ultimo atto che a prescindere dalle scelte fatte si chiude sempre in delle scene di epilogo anti climatiche e sbrigative. E’ come se i troppi titoli in sviluppo in casa Supermassive si fossero incartati a vicenda, tirando una coperta probabilmente troppo corta che ha lasciato qualcosa scoperto.

Quest’ultima fase soffre anche dell’ultimo problema che The Inpatient presenta, ovvero la gestione dei caricamenti. Tutto il gioco sarà costernato di caricamenti, a volte ben nascosti e a volte meno, ma nell’ultima sezione assisteremo addirittura ad una schermata di caricamento ogni minuto circa, che nonostante la breve durata spezza il flow del racconto e dimostra ancora come qualcosa sia andato storto nell’arco della produzione.

Nonostante i tanti difetti sarebbe sbagliato tacciare The Inpatient di essere un fallimento. L’ultimo Until Dawn ha infatti tante frecce al proprio arco, alcune già completamente funzionanti come un ottimo utilizzo del riconoscimento vocale e altre che buttano il seme in attesa di tempi più maturi in cui approfondire il discorso. Così com’è The Inpatient risulta un esperimento riuscito a metà, sicuramente da provare per gli amanti dell’horror quando si presenterà a prezzo budget e da osservare con grande speranza da parte di tutti gli altri. Personalmente sono sicuro che Supermassive riuscirà ad imparare dai suoi errori, tornando in grande stile con una nuova produzione legata alla saga capace di approfondire gli aspetti più interessanti di The Inpatient, superandone i limiti dati in gran parte dalla tenera età del linguaggio.

The Inpatient è disponibile dal 23 Gennaio 2018 in esclusiva su Playstation Store, compatibile con PSVR e Playstation Move.

 




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