Tra le sinossi di questa edizione di Venice Immersive mi aveva colpito quella di Over The Rainbow. Il film a tre gradi di libertà di Craig Quintero ammette sostanzialmente di non avere un significato univoco, e quindi – sotto sotto – di non avere un significato in senso assoluto. È però una sorta di sogno, vicino alla semantica di David Lynch, che punta tutto sulla forma in funzione di trasportare lo spettatore verso mondi ignoti.
E così infatti è stato: Over the Rainbow è una sequela di situazioni surreali e bizzarre, a cui è difficile – forse impossibile – trovare un senso, se non quello di farci viaggiare con il corpo e con la mente grazie alla forza della realtà virtuale.
Parlo di momenti come un balletto intorno a noi che si spegne all’improvviso, quasi Felliniano nella gestione dei tempi; o un uomo che ci spia attraverso un’apertura cubica su un muro, e la cui testa viene rinchiusa dentro a una camera a gas; o, ancora, una donna che vola via di scena aggrappandosi a una fune. Sono momenti che in qualche modo sono in grado di lasciare qualcosa a chi guarda, anche solo lo stupore di assistere a immagini mai sperimentate, in realtà virtuale.
Non so dire sinceramente se il film di Quintero mi sia davvero piaciuto, ma so che non mi ha lasciato indifferente, che forse è l’unica, vera, funzione dell’arte. Fuori concorso, nella sezione Best of Immersive.
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