Devo ammettere una cosa: non sono mai stato un grande fan delle installazioni multimediali. Ne ho studiato la storia, spesso mi capita di andarle a vedere, e – in generale – ci provo davvero in ogni modo a dare un senso a quell’arte concettuale ed effimera che tanti portano in palmo di mano, ma a cui difficilmente riesco ad associare un valore. Ahimè, non sono mai riuscito a connettermici, se non in poche occasioni.
Songs for a Passerby, di Celine Daemen, mi ha fatto sinceramente cambiare idea.
L’autrice del buon Eurydice (in concorso a Venezia 2022) questa volta fa all in, e ci propone un’esperienza multisensoriale in roomscale davvero straordinaria.
Dopo esserci messi su il visore, dal buio che pervade la stanza di fronte a noi spunta fuori un cane. Un cane riprodotto in fotogrammetria attraverso degli scanner 3D, di cui la Daemen mette in bella vista i difetti tecnici, propri di una tecnologia ancora acerba. Ci abituiamo a quell’estetica, e una luce apre il nostro cammino. Iniziamo quindi a muoverci fisicamente nello spazio, incrociando costantemente lo stesso cane, e poi un cavallo morente, una folla di persone, un treno in corsa, e – infine – noi stessi.
Attraverso degli scanner 3D posizionati all’interno della stanza, il nostro corpo inizia quindi a far parte del racconto, e poi dell’inquadratura, del contesto, assumendo significati sempre nuovi ogni volta che ci osserviamo, riflessi dentro alla scena come comparse.
Un colpo di scena straordinario, che mi ha fatto ricordare le emozioni provate la prima volta in realtà virtuale: un espediente che da una parte sorprende per originalità e tecnica, e dall’altra riesce sinceramente ad aggiungere qualcosa in più a un viaggio che si muove più dalle parti del sensoriale, che del narrativo.
Non so sinceramente di cosa parli Songs for a Passerby. Si dice che esplori il rapporto tra fisico e metafisico, che racconti di come noi attraversiamo i momenti, e di come i momenti attraversino noi. Uscito dall’esperienza non so dirvi se ci ho davvero visto quello che la Daemen espone nella sua personale sinossi, ma sicuramente ci ho visto un nuovo modo di raccontare e raccontarsi, una tecnologia inedita usata con grazia e consapevolezza, un’esperienza che mi ricorderò per tutta la vita.
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