Parigi, 1921. Al famoso salone Faubourg Saint-Honoré di Rue Cambon 31 qualcosa di molto importante sta per accadere. Si entra solo su invito, e noi – non a caso – facciamo parte di quella ristretta cerchia che darà i natali a una della fragranze più iconiche, tutt’ora immancabili nella collezione di ogni donna.
Attraverso la regia di Mathias Chelebourg abbiamo assistito all’esperienza più cross-mediale di questa Venice Immersive 2022. Per rappresentare uno dei momenti più avanguardistici che la storia ricordi, come non usare quindi il linguaggio maggiormente proiettato verso il futuro?
Iniziamo il nostro percorso tra profumi (reali) e voci (reali) attorno a noi, attraverso un lungo corridoio. Stiamo portando un invito per un appuntamento segreto e privato. Veniamo accolti da un’assistente di Gabrielle Bonheur: “Coco” Chanel, che sentiamo discutere animatamente attraverso la parete. Dopo qualche minuto è pronta ad accoglierci, ed è lì che inizia il nostro viaggio tra realtà virtuale crossmedialità.
L’esperienza, che si svolge all’interno del famoso salone di Rue Cambon 31, è completamente roomscale e tracciata con oggetti virtuali, fisici e quindi interattivi; il che significa che le pareti, gli oggetti e le sedie visibili in realtà virtuale sono presenti anche fisicamente attorno a noi. Persino il pianoforte, sui cui avidamente ci siamo fiondati per provare a spingere l’immersività dell’esperienza, era perfettamente funzionante. Nessun ausilio di controller, in quanto l’esperienza è totalmente in hand tracking.
Non finisce qui: ci troviamo proprio al cospetto della rivoluzionaria imprenditrice, per provare le diverse mixture conservate in diverse boccette piene di vero profumo, per non lasciare nessuno dei nostri sensi insoddisfatto.
Il nostro viaggio si interrompe proprio quando verremmo accompagnati alla porta, dopo aver trovato la fragranza più famosa nella boccetta n°5. Porta che ovviamente abbiamo provato ad aprire, come nel resto dell’esperienza fino a quel momento, ma che ci ha svelato infine la “maschera” (così il nome in gergo degli assistenti per le installazioni), che ci ha chiesto cortesemente di togliere il visore.
Abbiamo assistito a qualcosa di unico nel suo genere, un’installazione costruita ad hoc, e di certo non fruibile con la stessa potenza all’interno dei nostri salotti da gioco.
Anche se non ci è stato possibile visitare la scena senza visore, per poter scoprire “i trucchi” dietro questa esperienza, siamo certi che il solo lavoro di tracciamento degli oggetti fisici sarà costato tantissimo tempo al team di Mathias Chelebourg. Tempo ben speso però, in quanto l’installazione è risultata infine una delle più impressionanti dell’intero festival.
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