Giocato su Playstation 5
Il Giappone feudale è un setup ambientale che negli ultimi anni è andato abbastanza forte nei videogiochi: da Sekiro a Ghost of Tsushima, la maggior parte di questi sono riusciti a cogliere le atmosfere orientali come difficilmente era successo prima, e a guadagnarsi una stima da parte del pubblico che non vediamo tutti i giorni. Arashi: Castles of Sin prova a replicare la stessa formula, cercando di ingraziarsi il favore del pubblico Playstation VR; e nonostante qualcosa gli riesca decisamente bene, il prodotto di Endevor One mostra il fianco a una manciata di difetti che risultano – a tratti – imperdonabili. Vediamo di cosa si tratta nello specifico nella nostra recensione.
Scrivere una sceneggiatura più blanda e meno interessante di quella di Ghost of Tsushima era qualcosa di molto difficile, ma in Endevor One si sono dati da fare per restituirci il solito compitino che non presenta né un personaggio, né un momento memorabile. La storia è la solita: siete l’ultimo shinobi della casa di Arashi, e dovete vendicare la vostra famiglia uccidendo i capi di sei diversi clan sparsi per il Giappone, che presentano la profondità narrativa dell’ultimo degli FPS caciaroni anni novanta. Decisamente nulla di interessante, ma – come spesso dico – la trama in un videogioco VR non è fondamentale, quanto invece il feeling e l’immersione data dall’insieme degli elementi di gioco.
Per quanto riguarda il fronte ludico, in Arashi interpretiamo un ninja estremamente agguerrito, che dovrà sostanzialmente completare sei livelli suddivisi in piccole micro aree, e che convogliano sempre ad un boss di fine livello. Lo scopo è quello di superare le forze nemiche per entrare nella porta di fine area, fino ad arrivare al classico scontro finale, che presenta però nemici “unici” tutti uguali, da sconfiggere sempre nelle medesime modalità. Ciò che di interessante ha Arashi: Castles of Sin da proporre è tuttavia l’approccio nel percorso fino al boss. Nonostante la linearità del level design, il titolo di Endevor One ci dà la possibilità di affrontare ogni area con l’approccio a noi più congegnale, che parte dallo stealth e passa dall’assalto frontale, o la creazione di diversivi costanti.
Potremo quindi nasconderci nell’erba alta, distraendo i nemici e completando le sezioni senza uccidere nessuno; potremo eliminare i nemici più pericolosi con arco e shuriken dalle zone più elevate, per poi buttarci nella mischia e sconfiggere tutti a suon di katana; o, ancora, potremo lanciare pasti avvelenati e farci strada con un’arma da fuoco. Le possibilità date da Arashi sono davvero moltissime, anche troppe, ma non tutto funziona come dovrebbe.
Se l’elemento stealth riesce a regalare molte soddisfazioni, nonostante un’IA a tratti imbarazzante, è il combat system da scontro diretto che fa davvero storcere il naso. Le meccaniche legate al combattimento risultano imprecise, macchinose, piene di bug e davvero poco interessanti da giocare, ragion per cui ogni qual volta verrete scoperti da un nemico le vostre pupille inizieranno a ruotare su sé stesse seguite da un grande e sonoro sbuffo. Davvero, non era difficile restituire un combat system alla Until You Fall, e invece ci ritroviamo davanti a forse il peggior esempio di combattimento all’arma bianca mai visto in un gioco VR. Fortuna vuole che Arashi sia un gioco improntato prevalentemente sullo stealth, e – nel migliore dei casi, vi ci toccherà fare i conti con questa problematica davvero in poche occasioni.
Un altro problema legato al sistema di combattimento è tuttavia quello più spiccatamente contenutistico. In Arashi ci sono molte armi, ma fin troppe vi vengono consegnate all’inizio del gioco, facendovi risultare la progressione del vostro personaggio praticamente nulla dall’inizio alla fine dell’avventura. Sarebbe stato bello scoprire nel tempo tutto ciò che il prodotto ci mette in mano dal primo livello, inventandoci via via diversi modi di approcciare l’azione, e rendendo l’esperienza più interessante in termini di ritmo.
In ogni caso, ben consci dei limiti del combattimento, farsi strada tra i sette castelli presenti in questo inedito stealth game è davvero un piacere, soprattutto quanto ci ritroveremo di fronte a situazioni complesse, da affrontare di strategia prima che di petto. Tra gli elementi proposti da Arashi spiccano poi Huru, un cagnolone agguerrito che potremo lanciare contro i nostri avversari per eseguire azioni particolarmente elaborate; la possibilità di balzare da una parte all’altra della mappa alla pressione di un tasto; e un rampino che ci permetterà di raggiungere i punti più alti della mappa. Ed è proprio dai punti più strategici che il titolo dà il meglio di sé, dandoci la possibilità di ragionare sulle mosse successive e restituendoci dei vantaggi tattici invidiabili.
Vantaggi che rendono Arashi un titolo fondamentalmente semplice. Non aspettatevi di ritrovarvi davanti al nuovo Tenchu, o al Sekiro in realtà virtuale che tutti stiamo aspettando, l’opera di Endevor One risulta mediamente semplice nella sua progressione, soprattutto una volta capiti tutti i suoi meccanismi, e la colpa è – paradossalmente – di un design troppo complesso per adattarsi a Playstation VR. Come dico spesso, il caschetto di Sony funziona bene sui giochi in cui il game design è semplice e diretto, senza troppi orpelli da videogioco tradizionale; un po’ a causa della sua natura da divano, un po’ a causa dei suoi controller. In Questo caso invece, Arashi assegna un tasto ad ogni azione, propone troppi elementi d’approccio e il free locomotion rende macchinoso anche il più semplice spostamento; ragion per cui in Endevor One hanno dovuto chiaramente abbassare al minimo una difficoltà che sarebbe risultata frustrante proprio a causa delle sue meccaniche proprie.
Stilisticamente il titolo si difende molto bene sul fronte della direzione artistica, che ricorda quella del sopracitato Ghost of Tsushima e che – anche qui come nell’altra esclusiva Sony – risulta forse l’elemento più affascinante dell’intero pacchetto, ma è sorretta da un lavoro prettamente tecnico sicuramente non dei più raffinati. Risoluzione bassa, aliasing e texture ricordano i primissimi giochi PSVR, e dopo aver provato la demo di Freacked e aver constatato che si può – e si deve – fare di più, questo non è più tollerabile.
Arashi: Castles of Sin riesce a immergervi davvero dentro al Giappone feudale, ma lo fa attraverso troppi compromessi per promuovere in toto questo lato della medaglia.
Bene anche il lavoro sul sonoro: completamente in giapponese ma tradotto in italiano attraverso dei sottotitoli chiari e visibili, e ottimo anche quello sulla longevità, con una campagna che si aggira intorno alle cinque ore abbondanti di gioco. Un po’ meno bene il polishing generale, che mina il valore complessivo dell’operazione, a causa di un numero fin troppo elevato di bug e glitch che spero vivamente vengano risolti nel tempo.
Se Arashi: Castles of Sin fosse uscito su un visore roomscale, con dei controller accettabili per il nostro tempo, probabilmente sarebbe stato un gioco consigliato un po’ a tutti quelli che cercano un’avventura di questo stampo. Su Playstation VR, in queste condizioni, l’opera di Endevor One risulta comunque affascinante e spesso divertente, ma fin troppo limitata nelle sue meccaniche, proprio a causa della macchina su cui gira. Speriamo che con PSVR 2 questo primo esperimento VR legato al Giappone feudale rinasca sotto una nuova luce, magari accompagnato da una risoluzione dignitosa e il supporto al roomscale; perché così com’è Arashi risulta sì un buon prodotto, ma pieno di tanti – imperdonabili – difetti.
Arashi: Castles of Sin è disponibile dal 10 Agosto 2021 al prezzo di 29,99€ su Playstation Store.
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